Come nascono le innovazioni sostenibili nel settore della moda – LifeGate
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Trovare nuove soluzioni sostenibili è un imperativo tanto per i piccoli brand della moda quanto per le holding del lusso: ecco come nascono le innovazioni.
La sostenibilità nella moda è un asset più che mai imprescindibile per le aziende, ma non è così semplice da raggiungere, soprattutto quando si tratta di invertire la rotta di processi produttivi già consolidati. In questo senso gioca un ruolo fondamentale non solo avere una strategia a lungo termine, ma anche avere la capacità di investire in innovazione, dotandosi magari di un proprio organo interno in grado di assolvere questa specifica funzione. Quello che infatti accade è che non tutte le innovazioni disponibili oggi sul mercato si adattano facilmente al proprio modello di business o alla propria tipologia di prodotto. Le sperimentazioni maggiori, oggi come oggi, riguardano principalmente materiali e processi produttivi. Da una parte ci sono i fornitori e i produttori e dall’altra ci sono i brand di moda che vogliono trovare innovazioni sostenibili, ma devono allo stesso tempo continuare a garantire la stessa qualità e la stessa creatività di sempre. Il processo è molto diverso a seconda che si tratti di grandi gruppi o di piccoli brand, che spesso sono professionisti singoli e non possono contare né su una struttura vera e propria e né su grosse iniezioni di capitale.
I piccoli brand di moda si coalizzano per trovare innovazioni sostenibili
Lavorare, tanto sui materiali quanto sui processi, è enormemente dispendioso in termini di risorse e presuppone un team ad hoc. La soluzione, spesso, è quella di unire le forze. “Stanno nascendo sempre più gruppi e community di professionisti che si coalizzano e che servono proprio a favorire lo scambio di esperienze” spiega Elena Ferrero, Ceo e co-founder di Atelier Riforma, società che offre un servizio di consulenza per la filiera tessile per quanto riguarda circolarità e riciclo post-consumo. “Rén Collective ad esempio è un collettivo di brand, artigianali e non, che utilizza uno strumento semplicissimo come un gruppo Telegram per scambiarsi informazioni utili. È il luogo adatto per cercare fornitori, ad esempio di tessuti deadstock o magari di un tipo specifico di materiale, come filati rigenerati: si tratta di uno scambio di conoscenza e di informazioni che aiuta soprattutto le realtà più piccole”. I piccoli produttori spesso non hanno grandi capitali da investire in ricerca e sviluppo. L’utilizzo di macchinari e materiali innovativi, inoltre, spesso comporta la necessità di ordinare quantitativi ingenti che, quindi, diventano una barriera all’accesso importate per quelle realtà che non sono in grado di sostenere ordini onerosi.
“Noi, come Atelier-Riforma, siamo tra i fondatori del Movimento moda responsabile che è nato l’anno scorso e che, tra le sue varie finalità, ha anche quella di favorire il confronto e l’innovazione per i brand italiani e le aziende che operano nel settore tessile. Per fare questo programmiamo periodicamente talk e discussioni su materiali innovativi, processi, digital product passport e similari, analizzando case studies e scambiandoci punti di vista. Questo serve ad agevolare il processo di innovazione da parte delle società, ma non solo. Tra le finalità c’è anche quella di facilitare il reperimento di fondi da parte di brand piccoli e grandi attraverso la partecipazione congiunta ai bandi, nazionali o europei. Consorziarsi aumenta le possibilità di aggiudicarsi i fondi, che sono uno dei requisiti fondamentali per muovere i passi necessari per innovare i propri processi e i propri materiali. Spesso poi, legati alla vincita del bando ci sono anche dei percorsi di coaching, utili soprattutto per le imprese più piccole. Un’altra realtà molto efficace, ad esempio, è Enterprise Europe Network, che aiuta le imprese ad accedere a bandi destinati all’internalizzazione, a stringere collaborazioni con aziende dislocate all’estero o partecipare a fiere e manifestazioni internazionali. I brand del lusso e le grandi holding generalmente non hanno interesse a coalizzarsi perché hanno tutti i mezzi per farlo e, tendenzialmente, non condividono i risultati ai quali sono arrivati per mantenerne l’esclusività”.
Circolarità: qual è il punto di partenza?
“Noi ci occupiamo soprattutto di innovazione nel settore della circolarità quindi, prima di tutto, analizziamo la compliance del brand sulla normativa relativa in materia” continua Elena Ferrero. “Lo step successivo è quello di vedere come viene approcciato l’eco-design, quindi quali sono i principi adottati per rendere il prodotto più recuperabile e riciclabile al suo fine vita e quali possono essere le modalità di recuperare e valorizzare gli scarti, in un approccio a 360 gradi. Poi tutto sta al cliente: è la società a decidere in cosa vuole investire e spesso, e lo dico con l’amaro in bocca, non è un progetto a tutto tondo. Molto più probabilmente la tendenza è quella di concentrarsi su una nicchia di prodotti, quindi si parla di un piccolo progetto di upcycling, o un servizio di payback a spot, mentre la cosa più interessante per un brand sarebbe avviare un percorso reale verso la circolarità”.
Quando le grandi holding della moda si dotano di un reparto ad hoc per le innovazioni
Le grandi holding e i brand del lusso, se da una parte sono lenti proprio perché molto strutturati e divisi in diversi reparti difficili da coordinare tra di loro, dall’altra possono contare non solo su risorse ingenti in termini economici, ma spesso anche su dipartimenti creati ad hoc per accelerare il processo di innovazione in fatto di sostenibilità. Può capitare anche che esistano delle joint venture tra brand produttori di materie prime, come ad esempio i filati, e i brand produttori dei prodotti finiti, ovvero gli abiti. È il caso ad esempio della collaborazione tra Kering, holding del lusso che controlla tra gli altri Gucci, Saint Laurent e Balenciaga, e Albini group, società produttrice di filati premium. “L’Innovation lab di Kering è basato a Milano per essere nel cuore del processo decisionale: ha vari dipartimenti, ma di fatto è un collettore perché la sperimentazione viene fatta direttamente nelle linee di produzione” spiega Christian Tubito, Kering Material innovation lab director. “Non è possibile riunire in un solo luogo tutti i macchinari necessari per produzioni così diverse come le nostre, per questo il Lab è l’organo centrale, ma la sperimentazione avviene materialmente nelle singole linee di produzione. Oppure capita che la sperimentazione venga portata avanti in collaborazione con un fornitore, come nel caso di Albini Group”.
Il tema della supply chain è cruciale per i grandi gruppi e presuppone l’allineamento di tutti gli stakeholder: “Non è da tutti accettare l’incertezza da parte dei propri fornitori, ma è un requisito necessario per la trasformazione” continua Tubito. “Prendiamo ad esempio i coltivatori di cotone che devono convertire la produzione standard in agricoltura rigenerativa: solo questo presuppone uno sforzo enorme da parte loro, che poi viene necessariamente seguito da tutte le prove del caso per adeguare la produzione con il nuovo materiale. La sostenibilità nel lusso non è un asset economico, la qualità è l’aspetto principale in questo segmento. Per noi implementare il cotone organico nelle collezioni è stato enormemente difficile, perché questo tipo di fibra presenta delle impurità che che quella normale non ha, quindi per noi ha comportato un enorme lavoro e moltissime prove prima di essere in grado di sostituirlo completamente. Può capitare addirittura che un progetto pilota, sviluppato magari per un brand specifico, venga poi internalizzato dal fornitore ma non utilizzato dal brand, perché il risultato non è in linea con i suoi standard o con la resa estetica che vuole ottenere. Nel panorama delle fibre e dei materiali riciclati, ad esempio, è necessario fare diverse prove prima di trovare la combinazione che sostituisca perfettamente il materiale vergine”.
Un compromesso tra sostenibilità, creatività ed esclusività
Per i brand del lusso è cruciale differenziare i propri materiali da quelli utilizzati dai propri competitor: il lusso vive di esclusiva e un marchio di questo segmento non accetterà mai che la stessa fibra con la stessa identica sfumatura di colore venga utilizzata da qualcun altro. Per questo hanno senso collaborazioni come quelle tra Kering e Albini, produttore che sta lavorando in termini di aggiornamento dei processi in modo che siano meno impattanti. Albini sta concentrando i suoi sforzi in particolare su quelli di tintura, che fanno ampio uso di agenti chimici inquinanti. “Abbiamo da tempo iniziato a sperimentare la tintura delle fibre tessili per mezzo dei microrganismi”, interviene Giorgia Carissimi, Innovation Manager & Head di ALBINI_next. “Sfruttando i principi della fermentazione alimentiamo dei batteri in grado di produrre colore: questo ci consente di tingere senza produrre rifiuti tossici. Al momento, però, non tutte le colorazioni possono essere fatte così. Il rosso, ad esempio, non si può ottenere tramite i batteri, quindi bisogna trovare il giusto equilibrio tra le necessità dei brand che riforniamo in termini di design e la necessità di trovare soluzioni meno impattanti”.
Trovare il punto di balance tra le aspettative dei creativi e i limiti della sperimentazione è la cosa più difficile nei processi di innovazione nel campo della sostenibilità, ma è un processo che può anche portare risvolti inediti e inaspettati. “Una cosa molto interessante della tintura con i microrganismi, ad esempio, è che reagiscono diversamente a seconda dei materiali a cui sono applicati. Un batterio applicato a un certo tipo di seta produce un viola brillante, ma non dà lo stesso colore se applicato al cotone o alla lana. Gli ambiti di esplorazione sono molti e variegati, si tratta solo di trovare la giusta corrispondenza tra resa estetica e nuovo processo”.
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March 7, 2024 at 09:43PM