Green ed Emergenti: un nuovo binomio? – Fineconomy.it – Fineconomy

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Per una volta è l’Europa a guidare il mondo. E lo fa in un ambito importantissimo per il futuro del pianeta, quello della finanza sostenibile e, in particolare, del mercato ESG. L’acronimo sta per Environment, Social, Governance e viene utilizzato per descrivere una serie di pratiche sostenibili in ambito ambientale, sociale e di politiche aziendali. Ebbene, è proprio l’Europa il luogo al mondo dove sono più abbondanti i patrimoni gestiti da fondi e istituti finanziari investiti in imprese o in prodotti di imprese (come i bond) con una certificazione ESG: 14mila miliardi di dollari su 30mila totali a fine 2022. Gli Usa, per dire, nemmeno ci vedono: lì i fondi ESG valgono appena 8mila miliardi di dollari e in Giappone 4mila.

Il dato più interessante, però, è quello che riguarda il futuro. Secondo le stime di Bloomberg anche nel 2030, quando gli asset ESG avranno raggiunto i 40mila miliardi, sarà sempre l’Europa in testa con 18mila miliardi investiti, quasi il doppio dei 9.500 Usa.

Un mercato ormai consolidato

Naturalmente non siamo più di fronte allo stesso boom che ha caratterizzato gli investimenti ESG ai loro albori: il tasso di crescita annuo composto (CAGR) dei fondi investiti in ESG da qui al 2030 sarà (meglio: dovrebbe essere) del 3,5% a livello europeo, non più l’8% del periodo 2014-2022, ma è normale quando i volumi raggiungono dimensioni monstre. Possiamo comunque dire che gli investimenti ESG non sono una moda ma sono qui per restare. E lo possiamo dire anche e soprattutto perché è questo che pensano coloro che hanno il polso del mercato.

Un fattore di differenziazione

La multinazionale della consulenza strategica Arthur Little nel novembre 2023 nel proprio report annuale sul Private Equity ha scritto che per il 74% dei general partner dei fondi che gestiscono e investono i grandi patrimoni privati è proprio l’approccio verso le tematiche ESG il principale fattore di differenziazione. Nel 2022 a pensarla in questo modo erano molti meno, solo il 51%. Il 74% è una percentuale persino superiore di quella di chi ritiene che a fare la differenza siano le performance economiche, il 69%.
Ancora più significativo è che il 30,3% di loro manifestava l’intenzione di investire di più nei cosiddetti impact fund, ovvero fondi che hanno l’obiettivo esplicito di generare un impatto ambientale o sociale e che solo il 2,2% prevedeva di disinvestire da questi prodotti.
A questo punto la domanda da farsi è: come mai i fondi ESG sono così sviluppati in Europa rispetto al resto del mondo?
Anche la finanza si preoccupa del cambiamento climatico o c’è dell’altro?
Beh, non possiamo dire se la finanza abbia scoperto improvvisamente un’anima ambientalista, ma sicuramente nel boom degli investimenti “ecologici” ha inciso il varo, nel 2021, del Regolamento sulla divulgazione delle informazioni relative alla finanza sostenibile (SFDR) da parte della Ue.
Quel documento richiede alle aziende del settore finanziario di accompagnare i loro prodotti con una spiegazione di come questi impattino sulla sostenibilità. L’obiettivo è sia di ridurre il greenwashing, sia di attirare capitali privati che rendano possibile il raggiungimento, per esempio, degli obiettivi ambientali europei, come un’economia a zero emissioni entro il 2050. L’implementazione del SFDR non è ancora entrata nel vivo, ma l’opinione del 58,7% dei gestori dei fondi di Private Equity è che avrà un impatto significativo, spingendo molti di questi a registrarsi come green.

I Green Bond, una solida realtà destinata a crescere

Un indicatore significativo dell’andamento e delle prospettive della finanza sostenibile possono essere anche i Green, social, sustainable, and sustainability-linked bond (GSSSB), emessi da Stati, aziende, società di servizi finanziari, per finanziare obiettivi di sostenibilità in ambito ambientale o sociale. Secondo Standard & Poor’s nel 2023 il loro controvalore è tornato ad aumentare, dopo una riduzione tra il 2021 e il 2022, ed è arrivato a 939 miliardi di dollari. Le previsioni sono di un ulteriore incremento, per il 2024, che porterà il loro ammontare tra i 950 e i 1.050 miliardi di dollari. Dato rilevante: i GSSSB potranno rappresentare fino al 14% di tutti i bond emessi nel mondo, una percentuale certamente molto più alta rispetto al 5% del 2019 e maggiore persino del 12% del 2021, un anno di emissioni record.
All’interno di questo ambito nel 2023 a crescere di più, di ben il 10%, sono stati quelli che finanziano progetti ambientali, i Green Bond, che già rappresentavano la maggioranza. Hanno raggiunto i 575 miliardi di dollari, ovvero il 59% di tutti i GSSSB, mentre nel 2022 la loro quota era del 56%. In questo caso sono stati superati anche i livelli del 2021, grazie soprattutto alle emissioni di Green Bond sovrani, cioè emessi dagli Stati, che hanno raggiunto la cifra di 160 miliardi di dollari, ben il 36,7% in più del record di due anni prima. Protagonista qui è stata proprio l’Italia, che nell’aprile 2023 ha emesso il singolo più importante Green Bond del valore di 10 miliardi di euro.

I titoli sostenibili interessano anche ai Paesi emergenti

C’è un altro aspetto che dimostra come quello della finanza sostenibile sia un mondo che va consolidandosi e non una moda passeggera: ora interessa anche ai Paesi emergenti e lo dimostra proprio la loro crescente presenza nel panorama dei GSSSB. Standard & Poor’s mostra come l’ammontare di Green Bond emesso dai Paesi asiatici e del Pacifico abbia costituito il 24% del totale mondiale nel 2022 e nel 2023, più del 18% del 2021 e del 12% del 2020. Lo scorso anno, per esempio, c’è stata la prima emissione di un Green Bond sovrano da parte del governo indiano. I bond di Medio Oriente e America Latina rappresentano invece rispettivamente il 2% e il 5%, ma è proprio in Medio Oriente e in America Latina che nel 2023 si sono verificati gli incrementi maggiori: +149% e +56%.
Significativo è il fatto che, come si vede dal nostro grafico iniziale, la quota di titoli sostenibili denominati in Euro e Dollari è diminuita nel 2023 al 67% (40% in euro e 27% in dollari), contro il 71% del 2022, il 79% del 2021 e l’83% del 2020. In tre anni è invece cresciuta dal 12% al 27% la porzione di quelli denominati in otto valute di media importanza, dal Won coreano al Renminbi cinese, dallo Yen giapponese al Peso messicano. Quando a guardare con crescente interesse un nuovo mercato sono soggetti così diversi come le amministrazioni pubbliche, gli uffici legislativi (come quelli della Commissione Ue) e le istituzioni finanziarie dei Paesi emergenti vuol dire che siamo davanti a un segnale importante anche per i risparmiatori.

March 21, 2024 at 04:02PM

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