Che cosa ti raccontano i ghiacciai – La Svolta

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I ghiacciai possiedono una memoria inestimabile: grazie allo studio dei loro strati di ghiaccio è possibile ricavare informazioni sulla storia del clima e dell’evoluzione della vita sulla Terra. Purtroppo, a causa del riscaldamento climatico, questa fonte di informazioni potrebbe andare persa per sempre.

Lo studio più recente riguarda le calotte glaciali della Patagonia. Dopo quelle presenti in Antartide, si tratta delle più vaste distese di ghiaccio di tutto l’emisfero australe: ricoprono una superficie di 16.000 chilometri quadrati, ma sono ancora poco conosciute.

Un gruppo di ricerca internazionale, composto da diversi istituti di ricerca e università, tra cui l’Istituto nazionale di oceanografia e di geofisica sperimentale Ogs, ha condotto un’analisi della massa delle calotte glaciali in Patagonia, certificando l’estrema fragilità a cui l’ecosistema deve far fronte.

Pubblicata su Communications Earth & Environment, la ricerca ha registrato che queste distese contengono più di 5.000 chilometri cubi di ghiaccio: alcune zone nel fianco orientale sono arretrate di svariati chilometri negli ultimi decenni, ma altre sono rimaste stabili. Questo dipende dalla profondità dei laghi in cui i ghiacci confluiscono: più i laghi sono profondi, più l’arretramento sarà veloce.

Ogni anno i ghiacciai della Patagonia perdono mediamente un metro di spessore, e in questo processo il clima ha giocato un ruolo fondamentale. I cambiamenti di volume dei ghiacci provocheranno variazioni nella disponibilità di acqua, nel processo idrogeologico, nella biodiversità e negli eventi naturali dell’ecosistema circostante. Non solo: le preziose informazioni contenute in questi strati di ghiaccio rischiano di scomparire in breve tempo.

Lo conferma un altro studio condotto in Norvegia, nelle isole Svalbard. L’arcipelago è particolarmente sensibile ai cambiamenti del clima, a causa dell’altitudine relativamente bassa delle sue principali calotte glaciali e della sua collocazione geografica nel nord dell’Atlantico.

Un gruppo di ricerca del Cnr e dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, al quale ha partecipato anche l’Università di Perugia, ha dimostrato la perdita di informazioni sulla storia del clima e dell’ambiente contenute all’interno dei ghiacci. Pubblicata sulla rivista The Cryosphere, la ricerca ha evidenziato come, a causa del riscaldamento globale, il segnale climatico presente sui ghiacci delle isole Svalbard nel 2012 si sia quasi completamente perduto nel 2019.

Per segnale climatico si intende un indizio contenuto all’interno del ghiaccio, in grado di dare indicazioni sulla temperatura, la qualità dell’aria, l’abbondanza delle polveri.

Questo è possibile grazie al ghiaccio che si forma dalla neve, cade e si deposita: così siamo in grado di risalire alle varie oscillazioni della temperatura nel corso degli anni, ma anche alla concentrazione dei gas serra e degli inquinanti utilizzati dall’uomo.

Tutto questo un domani non potrebbe più essere possibile: secondo le stime dell’Ipcc, il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico, entro il 2100 i ghiacciai sotto i 3-500 metri nelle Alpi e sotto i 5.400 metri nelle Ande scompariranno.

Per far fronte alla crisi, nel 2015 è stato lanciato il progetto internazionale Ice Memory.

Riconosciuto dall’Unesco, l’obiettivo è quello di salvaguardare, analizzare e raggruppare campioni di ghiaccio provenienti dai maggiori ghiacciai del mondo, per preservare le informazioni contenute a loro interno e permettere agli scienziati del futuro di poterle analizzare.

Grazie a Ice Memory, lo stesso gruppo di ricerca delle isole Svalbard ha potuto estrarre tre profonde carote di ghiaccio dal ghiacciaio dell’Holthedalfonna, uno dei punti più elevati nelle isole delle Svalbard, nella speranza di recuperare informazioni climatiche ancora utilizzabili.S

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