ILVA e acciaio green: la tecnologia può, gli investimenti devono – RivistaEnergia.it
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La tecnologia può consentire la decarbonizzazione dell’acciaio, anche nel caso di ILVA, ma necessita di ingentissimi investimenti, resi disponibili in gran parte dagli Stati, quindi, in ultima istanza, dai cittadini.
Nel gergo climatico si definiscono hard to abate quei settori difficili da decarbonizzare, a motivo delle tecniche, dei combustibili utilizzati o dei volumi prodotti, l’indisponibilità di tecnologie o l’inaccessibilità dei costi per l’abbandono delle fossili impiegate. Riuscirvi, sarebbe d’altra parte determinante per conseguire gli obiettivi di contenimento delle emissioni entro la soglia di 1,5° C.
Tra le industrie, quella dell’acciaio è la più hard to abate, nonché una delle maggiori responsabili dell’effetto serra, contando per l’8% delle emissioni globali.
L’8% delle emissioni globali
D’altra parte, l’acciaio è un materiale essenziale nel mondo moderno, con una produzione aumentata di dieci volte dal secondo dopoguerra raggiungendo su scala mondiale circa 2 miliardi di tonnellate (di cui 400 mil. dal 2011 al 2021) e più di 6 milioni di occupati.
Se alle emissioni in atmosfera dell’acciaio aggiungiamo quelle di due altre industrie, cemento e chimica, si ottiene un totale superiore alle intere emissioni degli Stati Uniti.
Le industrie di processo hanno infatti contribuito nel 2022 al 26% di quelle globali, contro il 23% di quelle riconducibili al mondo dei trasporti e il 42% della generazione elettrica. Alle emissioni delle industrie di processo contribuiscono a loro volta per il 29% ferro e acciaio, 27% cemento, circa 15% chimica.
Percentuali che variano da paese a paese in funzione delle tecniche utilizzate e dei volumi prodotti. Ma, a prescindere dalla localizzazione, comune è la causa; la necessità di realizzare calore ad altissime temperature.
Le emissioni della siderurgia derivano dall’estrazione del ferro, sua principale componente, in altiforni a temperature che possono superare i 2.800 gradi Farhenheit.
Le soluzioni disponibili per ridurre l’impronta carbonica dell’acciaio vanno dal ricorso a forni elettrici ad arco al suo continuo riciclo, che contribuisce oggi intorno al 20% della produzione annua di acciaio su scala mondiale ed è prevista crescere al 50% nei prossimi decenni.
Il riciclo è previsto crescere ma non basta
Ma l’80% proviene da materie prime che utilizzano ghisa fusa in altiforni alimentati con coke (prodotto da carbone da coke), polvere di carbone.
Alternative più avanzate sono la sostituzione del carbone con gas fossile associato alla cattura del carbonio (carbon capture) sino all’utilizzo dell’idrogeno verde.
La svedese H2 Green Steel sta investendo oltre 5 miliardi di dollari per realizzare la prima acciaieria verde al mondo, ricorrendo a fonti rinnovabili prive di carbonio, progettando il ricorso all’idrogeno verde attraverso la costruzione di impianti di elettrolisi.
Diverse altre imprese si stanno impegnando in questa direzione, come Boston Metal e Iberdrola. La stessa Arcelor Mittal ha avviato nel suo stabilimento di Amburgo la produzione di acciaio con idrogeno verde, mentre la joint-venture SSAB-LKAB- Vattenfal si sono riunite nel progetto Hybrit con l’obiettivo di sostituire su scala industriale il carbone con l’idrogeno verde.
L’innovazione tecnologica può, gli investimenti devono
L’innovazione tecnologica può consentire la decarbonizzazione della siderurgia, ma necessita di ingentissimi investimenti, generalmente resi disponibili in gran parte dagli Stati, quindi, in ultima istanza, dai cittadini.
Prendiamo il caso dell’Italia. Gli investimenti necessari per la riconversione dell’ILVA di Taranto per la produzione di acciaio dagli altiforni a carbone alla tecnologia a idrogeno verde sono stati stimati sugli 11 miliardi di euro.
Che l’azienda o le casse pubbliche siano in grado di sostenere una simile cifra è alquanto inverosimile. Sarà allora interessante vedere quali siano le soluzioni tecnologiche, energetiche, industriali, finanziarie che la triade di nuovi commissari dell’ILVA proporrà sulla base delle esperienze che si vanno consolidando negli altri paesi e in numerose altre aziende.
ILVA, una soluzione dual fuel biometano+idrogeno verde (da fotovoltaico)
Una proposta interessante su questo fronte è stata avanzata da GB Zorzoli e prevede una soluzione dual fuel biometano + foto/agrivoltaico “per produrre, con un elettrolizzatore avente l’efficienza disponibile commercialmente a fine decennio, l’idrogeno richiesto per completare la decarbonizzazione del processo di riduzione dei minerali di ferro”.
Vedremo se i nuovi commissari la terranno in dovuta considerazione. È opportuno seguire la vicenda, auspicando che essi abbiano ad evitare gli errori dei precedenti commissari che bloccarono il lungimirante ‘piano verde’ messo a punto da Enrico Bondi oltre una decina di anni fa, col sostegno delle banche e di Cassa Depositi e Prestiti.
Evitare gli errori del passato
Piano che prevedeva la trasformazione del ciclo dell’acciaieria dall’impiego del carbon fossile a quello del gas naturale – che si poteva tra l’altro acquisire a poca distanza a prezzi molto bassi – utilizzando la tecnologia del preridotto, che avrebbe consentito un drastico taglio delle emissioni di CO2.
Quei commissari, privi di adeguate conoscenze industriali, non ebbero contezza di cosa avrebbe significato la loro infausta decisione. Il piano fu infatti bocciato dall’allora governo Renzi che sostituì Bondi affidando ai nuovi commissari la missione di vendere l’ILVA (non risanata) al miglior offerente, che risultò poi essere nel 2017 Arcellor Mittal.
Errori che hanno lasciato le cose irrisolte quanto a emissioni di CO2, inquinamento locale ed efficienza dell’impianto di Taranto, il più grande d’Europa, compromettendone i livelli di produzione inizialmente programmati per 12 milioni di tonnellate e scesi miseramente a minimi storici sui 3 milioni.
Alberto Clô è direttore della rivista Energia e del blog RivistaEnergia.it
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Foto: Unsplash
March 31, 2024 at 09:56AM