Le allergie stagionali arrivano sempre prima, così il cambiamento climatico ci fa soffrire di più – la Repubblica
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C’era una volta la primavera. Con la lunga scia delle allergie stagionali, riattivate dalla diffusione incontrollata dei pollini. Ma qualcosa è cambiato. Molto è cambiato. E chi ne soffre deve averlo già compreso. Ela scienza conferma: un’analisi sul monitoraggio dei pollini negli Stati Uniti nell’ultimo trentennio attraverso i dati provenienti da 60 stazioni di rilevamento ha, per esempio, certificato come la sintomatologia si sia anticipata, in media, di 20 giorni.
"Un cambiamento significativo – spiega al New York Times William Anderegg, autore dello studio e docente associato di biologia all’università dello Utah – perché un inizio, per così dire, precoce della primavera si accompagna a una maggiore prevalenza delle riniti allergiche, con sintomi inattesi nella tempistica e dunque più complicati di affrontare, anche per via della mancata disponibilità al bisogno dei farmaci".
di Anna Lisa Bonfranceschi
Ancora: dal 1990 ad oggi le concentrazioni di polline negli Stati Uniti sono aumentate del 20%, con picchi in Texas e nel Midwest. "Temperature più calde e concentrazioni più elevate di anidride carbonica, insieme all’aumento delle precipitazioni, favoriscono la crescita delle piante e, soprattutto, la produzione di polline per periodi di tempo più lunghi", ha aggiunto Anderegg.
La conseguenza? "Quando ho iniziato il mio percorso professionale, circa quarant’anni fa, le stagioni delle allergie erano limitate a circa 8 settimane. – spiega Gailen Marshall, presidente del dipartimento di Allergia e Immunologia presso il Medical Center dell’Università del Mississippi – Nel resto dell’anno, i pazienti vivevano un periodo di sollievo, diremmo quasi di tregua. Oggi, il rischio è che vivano, invece, un’unica lunga stagione di vulnerabilità".
Più soggetti allergici in tutto il mondo
Di più: l’incremento dei soggetti allergici è considerato una conseguenza sia dell’aumento vertiginoso della quantità di pollini che della loro distribuzione nello spazio, associata all’aumento dei venti, anche questo "espressione dei cambiamento climatico", come spiega Mary Johnson, ricercatrice ad Harvard.
Cambiamento climatico che influisce direttamente o indirettamente sulle cosiddette allergopatie, non v’è dubbio. Secondo i dati dell’Oms, la percentuale di chi ne soffre si attesta tra il 10 e il 40% della popolazione, a seconda delle regioni e dei periodi dell’anno. I pollini sono ai primi posti nella classifica dei fattori che scatenano reazioni allergiche: anche per questo per monitorarli, traducendo la ricerca in informazioni utili e consultabili anche attraverso speciali app, sono nate e operano diverse reti di monitoraggio del meteo-pollini. In Italia ne esiste una composta da 70 centri e coordinata dall’Associazione italiana di aerobiologia: l’obiettivo è valutare l’arrivo, i picchi e il declino della presenza ambientale dei diversi tipi di polline nelle varie regioni del paese.
Verso un’eterna primavera?
E anche in questo caso il cambiamento è epocale. "Non abbiamo dubbi che i cambiamenti climatici influenzino in modo rilevante le allergopatie, in particolare quelle respiratorie. – annuisce Enrico Heffler, responsabile del Centro di Medicina Personalizzata Asma e Allergologia di Humanitas e docente della Humanitas University – L’effetto più intuitivo è legato al riscaldamento globale: l’aumento delle temperature medie e la maggiore durata delle stagioni calde, si traduce – come attesta un numero sempre maggiore di studi in letteratura scientifica – in una dilatazione temporale dei periodi di impollinazione di alcune piante e, contestualmente, in un anticipo dei processi di impollinazione. Se alcuni pollini iniziavano ad emergere ed essere presenti nell’aria nei mesi tradizionalmente primaverili, oggi molti si manifestano già nei mesi invernali per proseguire durante l’estate e arrivare addirittura al periodo autunnale.
Ma temperature più calde agevolano anche l’emergenza di altri allergeni inalanti, in passato dagli effetti più trascurabili, come alcune muffe: per esempio l’alternaria, un fungo che prolifera principalmente all’aperto e che cresce sulla vegetazione, che nella stagione calda tende ad aerodisperdersi: se un paziente è sensibilizzato, vale a dire allergico, sviluppa così reazioni allergiche che vanno dalla rinite all’asma per un periodo decisamente più prolungato di quanto capitasse nel recente passato".
di Mara Magistroni
L’inquinamento e le piogge
E non finisce qui. Accennata dallo studio americano, c’è la questione – tutt’altro che marginale – della concausa dell’inquinamento. "I cambiamenti climatici derivano dall’incremento, nelle nostre città, di polveri sottili e di sostanze come biossido di azoto e anidride carbonica. – spiega Heffler – Ebbene, è comprovato che sono, questi, fattori in grado di incrementare l’allergenicità dei pollini: diversi studi hanno dimostrato infatti che laddove le piante che li generano crescono in aree urbane e soprattutto trafficate da auto, i pollini di graminacee e quelli di ambrosia sviluppano la capacità di produrre una maggiore quantità di particelle di pollini, e si rivelano dunque maggiormente allergeniche, rispetto a quelle che crescono in un ambiente meno inquinato".
C’è poi un aspetto meno intuitivo ma egualmente rilevante che traduce i cambiamenti climatici in atto in un potenziale incremento delle allergie stagionali: "Insieme con l’aumento delle temperature, si registra un incremento consistente dei fenomeni climatici estremi e dell’alternanza di periodi di importanti piogge con fasi siccitose. – spiega l’allergologo – Ebbene, ciò favorisce la crescita di piante e la produzione di pollini, ma soprattutto amplifica le allergopatie nella misura in cui, come ha dimostrato la ricerca, durante i temporali – in particolare quelli primaverili e quelli estivi, e comunque durante la fase pollinica – le particelle di polline presenti nell’aria si frammentino (avviene per le forze elettriche che si generano durante la tempesta o per shock osmotico, ndr) liberando molte delle loro componenti microscopiche, che sono quelle maggiormente allergeniche. Assistiamo così a un incremento del ricorso alle cure ospedaliere, con sintomatologie anche importanti come attacchi d’asma anche acuti, proprio in concomitanza di queste bombe d’acqua: è quello che è stato definito thunderstorm asthma, (asma da tempesta)".
April 2, 2024 at 07:15AM