Cambiamento climatico? Inammissibili le richieste di risarcimento allo Stato – Altalex
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La curiosa iniziativa giudiziaria da cui nasce questa pronuncia si conclude, per ora, con un nulla di fatto, ma molto probabilmente la vicenda giudiziaria non finirà qui.
Gli attori intentano una sorta di “class action” climatica nei confronti dello Stato italiano, ritenuto inadempiente o comunque troppo poco impegnato nel contrastare il cambiamento climatico.
Gli esponenti, in particolare, invocano la titolarità di un diritto al clima e di un diritto a conservare le condizioni di vivibilità per le generazioni future che troverebbe fondamento, oltre che nella Costituzione che tutela i diritti inviolabili della persona umana (tra cui anche il diritto umano al clima stabile e sicuro), anche nel Trattato dell’Unione Europa (art.6) nella Carta dei diritti Fondamentali dell’Unione Europea (art. 52) , nonché nelle disposizioni CEDU (artt. 2, 8, 14).
Contestano allo stato italiano, in particolare, una responsabilità ex art. 2043 c.c. (o, in subordine, ex art. 2051 c.c.) dello Stato italiano e per esso della Presidenza del Consiglio in persona del Presidente del Consiglio p.t e ne chiedono la condanna, ex art. 2058, co. 1, c.c., “all’adozione di ogni necessaria iniziativa per l’abbattimento, entro il 2030, delle emissioni nazionali artificiali di CO2-eq nella misura del 92% rispetto ai livelli del 1990, ovvero in quell’altra, maggiore o minore, in corso di causa accertanda”.
Sulla bontà e sulla meritevolezza delle intenzioni dei ricorrenti, c’è poco da dire. Il cambiamento climatico è un dato di fatto e che non solo l’Italia ma tutto il mondo stia facendo troppo poco per contrastarlo è, purtroppo, sotto gli occhi di tutto. Sulle buone intenzioni sottese a questa iniziativa giudiziaria, dunque, nulla quaestio.
L’iniziativa dei ricorrenti si inserisce in un’ampia serie di iniziative portate avanti in tutta Europa, anche con esiti positivi: il Tribunale amministrativo di Parigi il 3 febbraio 2021 ha riconosciuto una responsabilità omissiva in relazione agli obiettivi e agli impegni comunitari e nazionali in materia derivanti dalla Decisione n. 406/2009/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 23 aprile 2009; la Corte Costituzionale tedesca il 29 aprile 2021 si è pronunciata sulla parziale incostituzionalità della legge federale sui cambiamenti climatici del 2019.
Ma qui l’oggetto dell’analisi è strettamente giuridico. Lo strumento prescelto dagli attori, come visto, è l’articolo 2058 c.c. Non viene richiesto alcun danno: al Tribunale si chiede di accertare la sussistenza di una responsabilità dello stato italiano: una responsabilità “aquiliana”, o, in subordine oggettiva, invocando la qualità di custode dello stato. Custode di cosa, lo vedremo poi.
Premettiamo fin d’ora che la sentenza si chiude con un sostanziale nulla di fatto, perchè il tribunale dichiara il proprio difetto di giurisdizione.
Infatti, spiega la sentenza, gli atti del Governo e dal Parlamento qui oggetto di censura, sono atti, provvedimenti e comportamenti manifestamente espressivi della funzione di indirizzo politico, consistente nella determinazione delle linee fondamentali di sviluppo dell’ordinamento e della politica dello Stato nella delicata e complessa questione, indubbiamente emergenziale, del cambiamento climatico antropogenico.
Le censure mosse si appuntano sull’azione di indirizzo politico posta in essere dai titolari della sovranità statuale in ordine alle concrete modalità con cui stanno contrastando il cambiamento climatico per il raggiungimento degli obiettivi individuati nell’ambito dell’ordinamento eurounitario e internazionale.
Il Tribunale ricorda la giurisprudenza di legittimità, chiamata a pronunciarsi su altra questione avente ad oggetto le conseguenze dell’inadempimento dello Stato agli obblighi derivanti dal diritto euro unitario, che aveva escluso qualsiasi diritto soggettivo dei cittadini al corretto esercizio del potere legislativo (cfr. Cass. n. 9147/2009; Cass. n. 23730/2016), in ragione della insindacabilità dell’attività esplicativa di funzioni legislative; ne consegue che le domande sono inammissibili per difetto assoluto di giurisdizione del Tribunale ordinario.
Mentre, per altro verso, le contestazioni mosse (in via subordinata) al Piano Nazionale Integrato Energia e Clima, atto di pianificazione generale predisposto dai Ministeri competenti, andrebbero svolte dinanzi al giudice amministrativo; di fronte al giudice ordinario sono da considerarsi inammissibili.
Ma vediamo meglio come è stata costruita la domanda attorea.
Il punto di partenza sono i gravi problemi climatici del pianeta, imputabili al surriscaldamento globale provocato dalle emissioni antropogeniche dei gas. L’emergenza climatica è ormai acclarata dalla comunità scientifica mondiale e dichiarata dall’UE. Rispetto a questa situazione, spiegano i ricorrenti, lo Stato avrebbe precidi obblighi di intervento al fine di porre fine all’aumento costante della temperatura, perseguire e mantenere la stabilità climatica e contenere l’emergenza.
Gli obblighi di intervento dello stato deriverebbero, oltre che dalla Costituzione e dalla Convenzione Europea sui Diritti Umani (CEDU) e dall’ordinamento euro-unitario: dalla Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici del 1992 (UNFCCC); nella l. n. 204/2016 di ratifica ed esecuzione dell’Accordo di Parigi sul clima del 2015; nel diritto europeo, originario e derivato (che include e integra UNFCCC e Accordo di Parigi); nelle ulteriori fonti connesse o integrative (Report del “Panel intergovernativo sul cambiamento climatico” – IPCC); nelle decisioni e dichiarazioni di organi e organismi di cui l’Italia è componente.
La responsabilità dello stato viene incardinata, in primo luogo, all’articolo 2043 c.c. e viene invocata la lesione di un diritto “fondamentalissimo”, “intergenerazionale” ed individuale, perché ogni cittadino, spiegano i ricorrenti, ai sensi dell’articolo 2 della Costituzione ha diritto alla tutela presente e futura dei diritti fondamentali.
Sulle caratteristiche ed il fondamento dei diritti che si pretendono lesi, ci siamo già soffermati. Il problema che il Tribunale ha dovuto risolvere è l’applicabilità a situazioni simili dell’articolo 2043 c.c. Secondo l’interpretazione delle parti attrici, tali diritti -ed i testi normativi che li sanciscono- farebbero sorgere un’obbligazione civilistica in capo allo Stato nei confronti dei singoli. L’obbligo dello Stato di ridurre le emissioni nel senso voluto dagli attori sarebbe l’effetto della “riserva di scienza”, intesa come limite alla discrezionalità politica dello Stato che nel legiferare e nell’adottare gli atti di indirizzo in materia di contrasto al cambiamento climatico antropogenico sarebbe tenuta ad osservare le conoscenze e le informazioni scientifiche acquisite dalle istituzioni e dagli organismi (nazionali e sovranazionali) a ciò deputati e ad applicare il principio di precauzione (richiamato dall’art. 191 dal trattato sul funzionamento dell’Unione Europea). Su queste basi quindi, gli attori chiedono al Giudice di accertare la sussistenza degli elementi costitutivi dell’illecito aquiliano o della fattispecie di cui all’art. 2051 c.c., al fine di ottenere la condanna dello Stato al risarcimento in forma specifica, mediante la condanna dello Stato ad adottare qualsivoglia provvedimento necessario e idoneo a provocare l’abbattimento delle emissioni nazionali, al fine di prevenire la lesione futura di diritti umani.
Il Tribunale, come visto, non contesta la sussistenza dell’emergenza climatica (d’altronde non è contestata nemmeno dalla parte convenuta), ma nega che l’interesse di cui si invoca la tutela risarcitoria ex art. 2043 e 2051 c.c. rientri nel novero degli interessi soggettivi giuridicamente tutelati, in quanto le decisioni relative alle modalità e ai tempi di gestione del fenomeno del cambiamento climatico sono scelte politiche e non sono sanzionabili dal giudice civile.
Più in generale, l’osservazione che si potrebbe fare ancora più a monte è la seguente.
La responsabilità ex art. 2043 c.c. presuppone un fatto illecito, un danno patrimoniale, il nesso causale tra le due cose ed anche la prova dell’elemento soggettivo.
Pur non essendo nota l’istruttoria svolta e le prove dedotte, il dato che salta maggiormente all’occhio è come possa, in un caso simile, venire in evidenza un danno patrimoniale in capo ai ricorrenti. La lesione del diritto a vivere in un ambiente più vivibile e più salubre, invero, ha tutta l’apparenza di un danno non patrimoniale, derivante dalla lesione di beni della vita difesi dalla Costituzione e da numerosi trattati e normative sovranazionali.
Indipendentemente dal difetto di giurisdizione, quindi, pare abbastanza improbabile che i ricorrenti avrebbero potuto dimostrare tutti gli elementi costitutivi di questa fattispecie. Magari una domanda ai sensi dell’articolo 2059 c.c. avrebbe avuto un maggiore fondamento, pur scontrandosi con difficoltà probatorie assai difficili da superare.
Né pare maggiormente fondata l’invocata responsabilità ex art. 2051 c.c. Questa forma di responsabilità presuppone un rapporto di custodia, ossia un potere giuridico e fattuale sulla “cosa” immediato e tale da consentire di evitare che la cosa crei danni. Lo stato italiano è certamente custode del territorio nazionale, ma non del mondo intero e nemmeno del suo clima.
Non si vede, nemmeno astrattamente, come possa configurarsi una responsabilità dello stato italiano per i possibili danni (presenti e futuri) prodotti da un cambiamento climatico che si sta verificando in tutto il mondo. Né come si possa configurare un rapporto di custodia nel senso inteso dalla normativa.
In conclusione, restando le lodevoli intenzioni dei ricorrenti, ma forse gli strumenti da scegliere per portare avanti questa battaglia sono altri.
Riferimenti normativi:
Art. 1218 c.c.
Art. 2051 c.c.
Art. 2058 c.c.
Art. 2059 c.c.
Art. 2043 c.c.
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April 3, 2024 at 11:58PM