Politiche climatiche: ambizioni e limiti dei piani PNAC e PNIEC del Governo – Agenda Digitale

Politiche climatiche: ambizioni e limiti dei piani PNAC e PNIEC del Governo – Agenda Digitale

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A cavallo tra la fine del 2023 e l’inizio del 2024, il governo italiano si è dedicato alla predisposizione e pubblicazione di due attesi piani per le politiche climatiche del paese, mentre in Italia non esiste ancora una legge specifica sul clima.

Nella Gazzetta Ufficiale del 20 febbraio 2024 n.42 è stato pubblicato il decreto del Ministero dell’Ambiente e Sicurezza Energetica (MASE) 21 dicembre 2023 contenente il Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici (PNAC) con una serie di allegati.

Entro giugno 2024, invece, dovrà essere presentata alla Commissione europea la versione definitiva del Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (PNIEC), attualmente in corso di valutazione dal Parlamento e dalle Regioni, oltre che dal procedimento di Valutazione Ambientale Strategica e in fase di consultazione pubblica.

La finalità del PNACC è contenere la vulnerabilità dei sistemi naturali, sociali ed economici agli impatti dei cambiamenti climatici e aumentarne la resilienza. Dovrebbe contenere le strategie e le azioni per affrontare gli impatti del cambiamento climatico su vari settori, inclusi quelli industriali. Il PNACC dovrà essere aggiornato ogni sei anni, con specifici decreti direttoriali per gli allegati tecnici. Il PNACC non è previsto da una direttiva comunitaria specifica. Tuttavia, è strettamente collegato alla Strategia Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici (SNAC), che è stata approvata con decreto direttoriale n. 86 del 16 giugno 2015 dall’allora Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare. La SNAC fornisce un quadro di indirizzo nazionale per l’implementazione di azioni finalizzate a ridurre al minimo i rischi derivanti dai cambiamenti climatici, migliorare la capacità di adattamento dei sistemi naturali, sociali ed economici e trarre vantaggio dalle opportunità offerte dai cambiamenti climatici. Quindi esso, pur non essendo direttamente imposto da una direttiva comunitaria, è allineato agli obiettivi e alle linee guida dell’Unione Europea per l’adattamento ai cambiamenti climatici.

La proposta del PNIEC italiano

La proposta del PNIEC italiano (si tratta di un aggiornamento del precedente piano del 2020) dovrebbe fissare gli obiettivi nazionali al 2030 riguardanti l’efficienza energetica, le fonti rinnovabili e la riduzione delle emissioni di CO2, oltre a considerare la sicurezza energetica, le interconnessioni, il mercato unico dell’energia, la competitività, lo sviluppo e la mobilità sostenibile. Secondo il MASE, questa proposta permette di raggiungere quasi tutti i target comunitari su ambiente e clima entro il 2030, superando in alcuni casi gli obiettivi prefissi. Il PNIEC, infatti, a differenza del PNACC rispetta un obbligo comunitario, è stato introdotto dalla Regolamentazione sulla governance dell’unione dell’energia e l’azione per il clima (EU)2018/1999, concordato come parte del pacchetto “Clean energy for all Europeans” adottato nel 2019. Questo piano definisce gli obiettivi e le misure per la decarbonizzazione dell’economia italiana e copre un periodo di 10 anni, dal 2021 al 2030. La sua approvazione e implementazione sono parte integrante degli sforzi dell’Unione Europea per affrontare le sfide climatiche e promuovere una transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio.

Sono entrambi strumenti strategici che riguardano la sostenibilità ambientale e l’energia in Italia ed entrambi dovrebbero tenere conto delle sfide e delle opportunità legate alle politiche industriali, ma con un focus specifico su obiettivi diversi: il PNACC sull’adattamento ai cambiamenti climatici e il PNIEC sulla decarbonizzazione e l’efficienza energetica. Vediamo, allora, come vengono considerate le politiche industriali in ciascuno di essi, premettendo una breve riflessione sul ruolo che le politiche industriali svolgono per il clima.

Le politiche industriali e il clima

Diciamo subito che le politiche industriali sono essenziali per affrontare la sfida dei cambiamenti climatici e promuovere una transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio. Innanzitutto perché le industrie sono responsabili di una percentuale significativa delle emissioni di gas serra a livello globale ed è loro compito guidare l’adozione di tecnologie più pulite, l’efficienza energetica e la riduzione delle emissioni industriali. Sono le politiche industriali a promuovere l’innovazione e la ricerca per sviluppare soluzioni sostenibili, contribuendo allo sviluppo di nuove tecnologie e pratiche per affrontare il cambiamento climatico. Altro punto importante è connesso alla creazione di posti di lavoro nel settore delle energie rinnovabili, dell’efficienza energetica e della mobilità sostenibile. Questi posti di lavoro contribuiscono alla crescita economica ma anche alla sostenibilità. C’è poi la riduzione della dipendenza dai combustibili fossili considerando che le aziende sono importanti protagoniste nel promuovere la transizione da fonti di energia fossile a fonti rinnovabili, riducendo la dipendenza da combustibili fossili e contribuendo alla sicurezza energetica. Ma non tutto si fa solo per il clima, perché le aziende che adottano pratiche sostenibili possono accedere a nuovi mercati e soddisfare le esigenze dei consumatori attenti all’ambiente. Ricordiamo che le politiche industriali di un paese sono di competenza delle autorità di governo. Queste politiche mirano a orientare e controllare il processo di trasformazione strutturale dell’economia. In altre parole, l’obiettivo è favorire lo sviluppo e la conservazione del settore industriale o secondario di una nazione. Tali politiche possono includere misure per migliorare l’efficienza, promuovere l’innovazione, coordinare le decisioni e creare le condizioni di contesto necessarie.

Le politiche industriali nel PNACC

Secondo le dichiarazioni dei proponenti, Il Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici, approvato nel 2024, è un quadro strategico che mira a ridurre la vulnerabilità dell’Italia ai cambiamenti climatici e a promuovere l’adattamento in vari settori, compresi quelli industriali. Ma come le politiche industriali sono considerate all’interno del PNACC? Il piano valuta -si diceva- la vulnerabilità di vari settori, tra cui l’industria, agli impatti dei cambiamenti climatici. Si analizzano gli effetti previsti sui processi produttivi, la catena di approvvigionamento, l’infrastruttura industriale e la competitività delle imprese. L’obiettivo è identificare le aree di maggiore rischio e sviluppare strategie di adattamento specifiche per ciascun settore industriale. Si promuove la pianificazione e la gestione del rischio climatico nell’industria. Si incoraggiano le imprese a considerare gli impatti futuri dei cambiamenti climatici nei loro piani di sviluppo e investimento. Si suggeriscono misure per migliorare la resilienza delle attività industriali, come l’adozione di tecnologie più sostenibili, la diversificazione delle fonti di approvvigionamento e la riduzione delle vulnerabilità alle estreme condizioni climatiche.

Il PNACC dovrebbe coinvolgere le parti interessate, comprese le associazioni industriali, le imprese e gli enti pubblici, nella pianificazione e nell’attuazione delle misure di adattamento. Dovrebbe promuovere la collaborazione tra il settore industriale e le istituzioni per sviluppare soluzioni condivise e sostenibili incoraggiando le imprese a integrare l’adattamento climatico nei loro processi decisionali e nelle strategie di business. Deve prevedere il monitoraggio e la valutazione periodica dell’efficacia delle misure di adattamento nell’industria valutando i progressi compiuti per apportare eventuali aggiustamenti che consentano di affrontare nuove sfide o cambiamenti nel contesto climatico e industriale.

Le critiche al PNACC

L’arrivo del PNACC ha ricevuto tiepidi benvenuti e critiche aperte, specie riguardo alla sua efficacia e alla sua struttura. Il comunicato stampa dell’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (Asvis) auspica una veloce creazione di una struttura ministeriale necessaria all’attuazione – ad oggi inesistente – e l’utilizzo dei fondi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr). Più critica invece Legambiente, che segnala come l’iter del documento in questione sia stato inutilmente lungo, che da undici anni è latitante una legge contro il consumo del suolo, e inoltre che il documento rischia di rimanere lettera morta in assenza di una struttura di gestione e di adeguati finanziamenti. Non ha nascosto le sue critiche anche il Wwf, che sottolinea le lacune del documento e ritiene “inammissibile che dopo sette anni si propongano ‘possibili opzioni’: i piani si chiamano tali proprio perché operano scelte, specie a livello nazionale e sovraregionale”. E infatti sono molti gli esperti e gli attivisti ambientali che ritengono che il PNACC sia un ottimo studio, ma non un piano vero e proprio e manchi di decisioni chiare e coraggiose. Il documento descrive la situazione della crisi climatica in Italia e la mette nel contesto euro-mediterraneo, ma manca di decisioni concrete e azioni specifiche per affrontare gli impatti dei cambiamenti climatici.

Vi è poi e inoltre, a mio parere, una scarsa identificazione di azioni efficaci perché, nonostante l’analisi dettagliata della situazione, il PNACC non individua in modo chiaro le azioni necessarie per affrontare le sfide climatiche. La mancanza di strategie specifiche e di finanziamenti adeguati a implementare le misure di adattamento è una delle principali e più diffuse critiche al piano.

Il piano non è neppure integrato con altre politiche settoriali e territoriali per massimizzare l’efficacia delle azioni di adattamento e la mancanza di coordinamento tra il PNACC e altre strategie nazionali rappresenta un’altra forte debolezza del piano. Mancano, infine, veri indirizzi operativi: non si offre una guida chiara su come affrontare le sfide climatiche e mancano indirizzi specifici per le istituzioni, le imprese e la società civile. E in mancanza di indicazioni specifiche, con molte ovvietà travestite da ricerca scientifica, programmare attività industriali diventa veramente difficile.

Le politiche industriali nel PNIEC

Il Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (PNIEC), che deve essere approvato entro giugno 2024, considera le politiche industriali come parte integrante della strategia per la transizione energetica e la riduzione delle emissioni di gas serra. Si prevede una decarbonizzazione del settore industriale attraverso l’adozione di tecnologie più pulite e l’efficienza energetica. Si promuove l’uso di fonti rinnovabili per la produzione di energia industriale e dovrebbe incoraggiare gli investimenti in idrogeno verde e biometano per ridurre le emissioni di CO2 e rendere l’industria più sostenibile. Il piano dovrebbe promuovere l’efficienza energetica nell’industria attraverso l’adozione di tecnologie avanzate e la riduzione degli sprechi con investimenti in ricerca e sviluppo per migliorarne la competitività e sviluppare soluzioni innovative. Il PNIEC dovrebbe tener conto anche della sicurezza energetica dell’industria, garantendo un approvvigionamento stabile ed efficiente di energia, promuovendo la diversificazione delle fonti di approvvigionamento, riducendo la dipendenza da fonti fossili e favorendo l’uso di fonti rinnovabili e di idrogeno verde. Infine, il PNIEC dovrebbe mettere al centro anche le politiche per la mobilità sostenibile che influenzano l’industria automobilistica e la produzione di veicoli elettrici, oltre che la creazione di infrastrutture di ricarica per ridurre le emissioni del settore dei trasporti.

Le critiche al PNIEC

Anche la proposta di PNIEC ha ricevuto molte critiche, anche se è importante notare che queste opinioni possono variare a seconda dei diversi attori e delle loro prospettive. Alcuni esperti ritengono che gli obiettivi di riduzione delle emissioni di CO2 stabiliti nella proposta di PNIEC siano troppo moderati e c’è la preoccupazione che tali obiettivi potrebbero non essere sufficienti per affrontare la crisi climatica in modo efficace. Anche per questo piano in molti sostengono che la proposta manca di specificità su come raggiungere gli obiettivi.

La mancanza di dettagli su misure specifiche e azioni concrete per l’industria e altri settori è quella che più è stata oggetto di dibattito. Insieme alla ovvia constatazione che senza risorse finanziarie adeguate, l’attuazione degli obiettivi potrebbe essere compromessa perché nella proposta di PNIEC non si individua una chiara strategia di finanziamento per attuare le misure di adattamento e mitigazione. Infine, alcuni gruppi della società civile e delle imprese ritengono che il coinvolgimento delle parti interessate nella progettazione e nell’attuazione del PNIEC sia stato sino ad oggi (e salva la fase di consultazioni in corso) limitato. Nel PNIEC proposto, così come del resto per il PNACC approvato, manca un efficiente impianto di governance che renda i piani efficaci strumenti attuativi.

Conclusioni

“Fra il dire e il fare c’è di mezzo la politica” ha detto Matteo Leonardi direttore di ECCO, il think tank italiano dedicato alla transizione energetica e al cambiamento climatico che il 27 febbraio ha organizzato in Parlamento un confronto fra politica, industria e mondo del lavoro sul PNIEC. Proprio in quell’occasione è stato citato lo studio realizzato e pubblicato giusto un anno fa da Confindustria e RSE – Ricerca sul Sistema Energetico, sugli scenari e le valutazioni di impatto economico degli obiettivi della transizione energetica ed ecologica. Lo studio offre una valutazione dettagliata degli effetti economici delle politiche di decarbonizzazione proposte nell’ambito del pacchetto “Fit for 55” dell’Unione Europea di cui il PNACC e il PNIEC sono parte integrante.

Un’impresa adeguatamente sollecitata all’adozione di tecnologie più pulite potrebbe -secondo lo studio- migliorare la competitività a lungo termine e creare opportunità economiche nei settori delle energie rinnovabili, dell’efficienza energetica e della mobilità sostenibile. Questi settori potrebbero generare nuovi posti di lavoro, promuovere la crescita economica e determinare la diminuzione dell’inquinamento atmosferico. Con l’adozione di pratiche più sostenibili si avranno impatti positivi per la salute e l’Ambiente. In sintesi, la transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio comporterà sfide e opportunità per l’Italia, ma porterà ad una maggiore sostenibilità e resilienza nel lungo periodo.

Ci saremmo aspettati che il PNACC e il PNIEC fornissero a queste ipotesi di studio, certamente d’origine né rivoluzionaria né sovversiva, un supporto normativo solido nonché una prospettiva concreta verso una decarbonizzazione programmata per ciascun settore economico, ma è mancato il coraggio se non la volontà. Come se le politiche industriali fossero competenza di altri.

Sitografia

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– PNIEC: UN PIANO PER L’AZIONE. DECARBONIZZAZIONE, SVILUPPO, INNOVAZIONE, LAVORO – https://ift.tt/vo3fcbi

April 3, 2024 at 10:38AM

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