Una storia millenaria e un’incredibile varietà di habitat e specie: il Parco naturale del Monviso è un punto di … – il Dolomiti
https://ift.tt/AmFUJLa
Una vetta dal valore simbolico e il fiume più lungo d’Italia, una delle più estese cembrete delle Alpi, boschi di conifere e praterie d’alta quota. Il Parco naturale del Monviso racchiude una storia millenaria e un’incredibile varietà di habitat e specie in un territorio che si sviluppa su due Valli del Piemonte occidentale, Varaita e Po. A prendersene cura, in un costante monitoraggio dello stato di salute della flora e della fauna, è l’Ente di Gestione delle aree protette del Monviso, che provvede alla conservazione e alla tutela della biodiversità nelle aree naturali protette e nei siti della Rete Natura 2000, la grande rete ecologica che ha lo scopo di garantire la sopravvivenza a lungo termine delle specie e degli habitat più preziosi e minacciati in Europa. 10mila ettari di territorio gestito che offrono un punto di osservazione privilegiato sugli effetti del cambiamento climatico.
Da una quota di circa 1500 metri sino ai 3841 del Re di Pietra, il Parco naturale del Monviso include habitat tipici del piano montano e di quello alpino. "Sopra i 2000 metri, si incontrano specie di animali e piante che sono endemici, cioè che in tutto il mondo vivono soltanto in un’area molto ristretta, come la Salamandra di Lanza, una delle ultime specie di vertebrato scoperte in Europa", spiega il funzionario tecnico Marco Rastelli. Vi sono poi specie che hanno una distribuzione artico-alpina, "come la pernice bianca o la lepre variabile, diffuse in tutta Europa durante il periodo glaciale che, con il ritiro dei ghiacci, si sono spostate verso il nord Europa e sulla sommità della catena alpina. Sono proprio le specie più adattate all’ambiente alpino a soffrire maggiormente gli effetti del riscaldamento globale".
La Salamandra di Lanza. [Archivio Parco del Monviso]
Osservare le dinamiche naturali anche alla luce del cambiamento climatico in atto è fondamentale per sviluppare la conoscenza dei territori gestiti, per conservarli, promuoverli e soprattutto per acquisire informazioni utili all’attività di gestione e pianificazione. A spiegarlo è Vincenzo Maria Molinari, direttore dal 2021 dell’Ente di Gestione delle aree protette del Monviso: "Quantificare gli effetti dei cambiamenti climatici su fauna e flora richiede serie storiche di dati molto lunghe, per evitare che singoli dati, legati per esempio a una stagione particolarmente favorevole o sfavorevole a una specie, vengano interpretati come l’effetto di un cambiamento climatico a lungo termine".
Vincenzo Maria Molinari, direttore dell’Ente di Gestione delle aree protette del Monviso. [Archivio Parco del Monviso]
L’Ente conduce monitoraggi da diversi anni, in particolare su specie e habitat per cui è richiesto un monitoraggio continuo ai sensi della Direttiva Habitat 42/93/CEE, ma anche su altre specie di interesse conservazionistico. Questi rilevamenti non sono stati concepiti con la finalità di quantificare gli effetti dei cambiamenti climatici ma con l’obiettivo di studiare lo stato di popolazioni e habitat e il loro andamento nel tempo, per identificare gli eventuali fattori di pressione che li mettono “a rischio”. In questo quadro è possibile osservare fenomeni che, se confermati negli anni futuri, possono essere spiegati con i cambiamenti climatici. "Un esempio: nell’ambito del progetto “Migrans”, a cui collaboriamo dal 1998 con un sito di osservazione dei rapaci attivo ogni anno in Valle Po, stiamo assistendo a un anticipo del periodo di passaggio di alcune specie. Degno di nota è il caso del biancone, un rapace che fino a qualche anno fa non veniva quasi mai osservato durante il nostro campo di osservazione (tra il 19 agosto e il 6 settembre) poiché era noto che il suo periodo migratorio si avviava verso fine settembre. Negli ultimi anni pare aver anticipato il suo viaggio di ritorno in Africa, tanto che se ne osservano regolarmente vari esemplari in migrazione già a fine agosto".
Il funzionario tecnico Marco Rastelli. [Archivio Parco del Monviso]
Allo stesso modo, i tecnici del Parco si occupano tra dicembre e gennaio del censimento della popolazione degli stambecchi: "Quest’anno il numero minimo certo di esemplari presenti nel Parco è 148, un dato inferiore alla media degli otto anni precedenti che è di circa 170 stambecchi. Ma attenzione: il numero in calo non rappresenta di per sé un allarme né significa che ci siano effettivamente meno animali. La ragione è probabilmente collegata al minore innevamento, che porta gli stambecchi a disperdersi su aree molto più vaste di quelle che frequentano abitualmente in inverno, rendendone più difficile l’osservazione. Quindi in questo caso il riscaldamento globale, che incide anche sull’innevamento (nelle zone del Parco del Monviso è tendenzialmente sempre minore e tardivo) cambia il modo in cui gli animali si interfacciano con il territorio e in conseguenza variano anche le nostre possibilità di monitoraggio".
L’innalzamento delle temperature in montagna può indurre lo spostamento di una specie e far sì che questa tenda a occupare territori più in quota: "Questo ha però due limiti: il primo è che, immaginando una montagna come un cono, più ci si sposta in alto meno spazio c’è a disposizione; il secondo è che la montagna a un certo punto “finisce” e non ci si può spostare più in alto. Nei casi più gravi le specie si estinguono se non riescono ad adattarsi o spostarsi". Le caratteristiche che le specie alpine hanno assunto sono anch’esse frutto dell’adattamento all’ambiente alpino: "La pernice bianca cambia il proprio piumaggio passando da grigio in estate a bianco in inverno. Questa “strategia”, messa punto nel corso dell’evoluzione, le consente di essere molto mimetica sulla neve e difendersi così dai predatori. Si trasforma però in uno svantaggio negli inverni senza neve perché, bianca sullo sfondo giallo-bruno di un prato alpino non coperto da neve, risulterà ben visibile ai predatori". Si tratta in realtà di fenomeni “normali” nel corso dell’evoluzione: "Cosa sembra essere cambiata è la velocità con cui questi avvengono, determinata dalla rapidità con cui il clima sta cambiando".
Operazioni di monitoraggio degli stambecchi. [Archivio Parco del Monviso]
Quali azioni concrete può mettere in atto l’Ente Parco? "Occorre mantenere un attento monitoraggio di specie più “sensibili” e tenere in considerazione che gli impatti di opere e attività umane su quelle specie si andranno a sommare ai fattori di pressione determinati dai cambiamenti climatici – conclude il direttore Molinari -. Per fare questo è importante avere dei dati, interpretarli e comunicarli correttamente al pubblico per orientare le scelte non soltanto degli enti deputati alla protezione della natura, ma di tutti i soggetti che sono chiamati a concorrere allo stesso obiettivo, e per sensibilizzare i singoli cittadini ad assumere abitudini e comportamenti corretti".
April 6, 2024 at 06:24AM