Agenda 2030 e geopolitica: l’ESG non si arresta, ma vanno rivisti i confini degli investimenti – ESGNews.it

Agenda 2030 e geopolitica: l’ESG non si arresta, ma vanno rivisti i confini degli investimenti – ESGNews.it

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Secondo il rapporto ONU 2023 sugli SDGs, i progressi fatti su oltre il 50% degli obiettivi di sviluppo sostenibile sono deboli e insufficienti, mentre si è addirittura fermato il percorso verso il raggiungimento del 30% di essi. A rendere il contesto ancora più complicato, la geopolitica irrompe con una forza inaspettata sull’Agenda 2030 e distrae l’attenzione degli investitori dagli obiettivi di sviluppo sostenibile. Ciononostante, secondo quanto rilevato da un recente report di PwC Luxembourg, i fondi UCITS ESG europei sono aumentati a fine 2023, raggiungendo i 6,2 triliardi di euro (+1 triliardo su base annua). E, secondo lo stesso studio, entro il 2027 saliranno a 9 triliardi. Una tendenza simile si registra anche negli Stati Uniti, dove l’indice S&P500 ESG tra marzo 2020 e marzo 2024 ha avuto un rendimento cumulato dell’85,3%, il 9% in più rispetto all’indice tradizionale. Quindi l’ESG non si arresta, ma vanno ridisegnati i confini degli investimenti alla luce del nuovo contesto geopolitico, come sottolineato al Salone del Risparmio durante l’evento di Candriam Agenda 2030 e geopolitica, la sottile linea rossa dove si gioca la partita del futuro. Come ridisegnare i confini degli investimenti.

“L’equilibrio internazionale di oggi è caratterizzato da due timori – l’escalation della guerra in Ucraina e di quella Gaza – e da una speranza, cioè che la guerra fredda tra Usa e Cina rimanga nell’attuale fase di tregua”, esordisce Paolo Magri, vicepresidente esecutivo di ISPI. A complicare la situazione, prosegue l’esperto, le prossime elezioni statunitensi, che avranno certamente degli impatti sulla geopolitica e sul sistema economico internazionale. 

Ma se in questo momento l’attenzione dei leader globali è tutta rivolta ai conflitti in Ucraina e Medioriente, l’Unione Europea (e il mondo tutto) è già da tempo impegnata su un altro fronte: la guerra contro il cambiamento climatico. È quanto sottolinea Enrico Giovannini, direttore scientifico dell’ASviS (Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile), che evidenzia come in Europa ci siano ogni anno “300.000 morti premature per inquinamento. Una cifra agghiacciante che rende la dimensione del problema”. A ciò si aggiungono costi economici altissimi. Eppure, negli ultimi 10 anni, sono stati spesi in Italia 20 miliardi per porre rimedio ai danni del cambiamento climatico e sono stati destinati “solo 2 milioni alla prevenzione degli impatti climatici. Come sopperire a questa grave mancanza?”, si chiede Giovannini, che risponde così: “la finanza, in questo senso, ha un ruolo decisivo perché, attraverso il capitale, connette l’oggi con il domani, ovvero trasforma gli impegni ESG in investimenti reali, sia in termini di risorse pubbliche che private”.  

Certo, il dibattito politico non sembra pronto e maturo per gestire le numerose sfide che il mondo sta affrontando. “Mentre finanza e imprese guardano al domani, la politica ha la veduta corta”, avverte Magri. Secondo l’esperto di ISPI, oggi stiamo vivendo almeno cinque transizioni: energetica, monetaria, economica, demografica e digitale. “Alla luce di queste transizioni che portano con sé grandi cambiamenti e la fine di un sogno (ma non del mondo!), bisogna ridisegnare gli interventi finanziari a favore dello sviluppo di un mondo più sostenibile”, sottolinea il vicepresidente esecutivo di ISPI. 

La miopia della politica e le lobby internazionali legate a determinati interessi contrari alla transizione sostenibile, rischiano di accentrare il dibattito su questioni come l’aumento della spesa nella difesa, quando in realtà “sarebbe bene sottolineare che il percorso europeo verso la transizione è tutt’altro che morto”, sostiene Giovannini. “Come individui e società siamo chiamati a prendere decisioni importanti per trovare il bilanciamento, ad esempio, tra investimenti green, investimenti per la crescita economica e allocazione delle risorse nella difesa. È una grande sfida, ma va colta e l’Europa è in prima linea su questo”, aggiunge il direttore scientifico dell’ASviS. 

È quindi evidente, ancora una volta, che un ridisegnamento degli investimenti va realizzato. Servono infatti, dichiara Magri, 180 miliardi di fondi pubblici all’anno in Europa, per rispondere alle varie crisi e non rallentare su questioni rilevanti come la transizione, che comporterebbe di essere “spazzati via”, avverte Giovannini, “tanto dalla Cina, che ha iniziato a investire nella transizione dieci anni prima di noi, ma anche da altre potenze emergenti e all’avanguardia”.

Come essere più consapevoli degli effetti degli SDGs sull’economia reale 

Alla luce delle sfide che l’attuazione degli SDGs e degli obiettivi ESG deve affrontare, come gli investitori possono prendere maggiore consapevolezza degli effetti degli SDGs sull’ economia reale e come potrebbe modellarsi il futuro degli investimenti nel nuovo contesto geopolitico? Sono le domande su cui si concentra l’intervento di David Czupryna, Senior Fund Manager del team Thematic Global di Candriam. 

Per rispondere, l’esperto passa in rassegna alcune tendenze principali che osserva nell’economia reale.

Innanzitutto, mentre gli investimenti in energie pulite continuano a salire, specifici fattori hanno impattato sui prezzi delle azioni. Tra questi, l’aumento del tasso decennale statunitense tra gennaio 2022 e ottobre 2023 (+3,5%), e il calo del prezzo delle batterie in polisilicio, necessarie per i pannelli solari, che ha mostrato come i prezzi delle materie prima possano danneggiare un’industria giovane come quella delle rinnovabili (ma anche creare opportunità). La terza tendenza è il rapido aumento dei tassi, che ha danneggiato le small caps e le aziende growth, mentre la quarta è legata al fatto che i progetti sulle rinnovabili negli Stati Uniti hanno subito un temporaneo rallentamento. Allo stesso tempo, però, i progetti di energia eolica offshore stanno accelerando, sottolinea Czupryna, “BNEF prevede circa 14,5 GW di installazioni cumulative di energia eolica offshore entro il 2030 e 42,3 GW entro il 2035”. Infine, altre tre importanti tendenze che hanno effetti positivi sulla transizione, sono il fatto che l’energia solare sta diventando più economica del carbone (anche grazie alla riduzione del costo del polisilicio), il prezzo dei veicoli elettrici si sta allineando a quello delle auto tradizionali, e la tutela della biodiversità sta stimolando gli investimenti

April 11, 2024 at 09:12AM

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