Sciopero globale, Marzio Chirico (Fridays for Future): «Clima e conflitti sono interconnessi» – La Svolta
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In vista dello sciopero globale per il clima sono giorni concitati per i ragazzi di Fridays for Future Italia, distribuiti in gruppi locali di lavoro con un coordinamento nazionale.
Le chat sono in fermento, riunioni e call si susseguono.
La due giorni Con la Palestina e contro il fossile coinvolge 25-30 piazze d’Italia nel decimo mese di fila più caldo di sempre: dal titolo Riprendiamoci il futuro, inizia venerdì 19 aprile con lo sciopero nazionale decentralizzato in tante città, inserito nella mobilitazione mondiale.
E continua sabato 20 con la convergenza a Milano di movimenti palestinesi, Fff e il collettivo che ha occupato la fabbrica Gkn di Campi Bisenzio (Firenze), “per ribadire ancora di più la nostra posizione contro il genocidio e il massacro che sta avvenendo a Gaza, per l’autodeterminazione del popolo palestinese, quindi contro la guerra e per il cessate il fuoco, per una transizione sostenibile ed equa, per la creazione di posti di lavoro”.
A spiegarcelo è Marzio Chirico, attivista per Fridays for Future che organizza la manifestazione di Roma.
Cosa rappresenta questo sciopero globale per il clima in questo momento?
Questo periodo storico sta mostrando che effettivamente siamo in una poli-crisi: una crisi dietro l’altra, inquinamento, guerre e conflitti in ogni parte del mondo. Così scendiamo in piazza in questa occasione per mostrare anche le interconnessioni che ci sono fra inquinamento e problematiche ambientali, ma anche fra conflitti globali e giustizia sociale. È un momento in cui tra l’altro, così come in Ucraina, le lobby fossili stanno perpetuando i loro interessi in Palestina ma anche in altre parti del mondo.
Il vostro focus è la “#ResistenzaClimatica”?
Sì, sicuramente, è un hashtag che lanciamo anche per questo sciopero: resistere sì agli eventi estremi, ripartendo dalla comunità per trovare e creare soluzioni dal basso, per e contro la crisi climatica, ma anche resistenza agli interessi delle lobby fossili che comunque cercano e foraggiano i conflitti in ogni parte del mondo.
Perché?
Sappiamo che la maggior parte dei conflitti è anche a favore della ricerca di risorse. Proprio davanti alle acque della Palestina, Israele ha concesso 12 nuove esplorazioni di giacimenti a Eni. Visto che Eni è una partecipata statale, il nostro governo è totalmente coinvolto. Leggevo pochi giorni fa che in realtà siamo fra i Paesi che più finanziano Israele con armi e con le nostre altre industrie: anche Leonardo in qualche modo è coinvolta.
Quindi in questo senso in Italia – sia dal punto di vista ambientale e climatico sia da un punto di vista etico, di giustizia sociale e di diritti umani – non stiamo facendo quello che dobbiamo fare, stiamo andando in tutt’altra direzione, nel massacro che sta avvenendo in questo momento a Gaza.
Ci stiamo coprendo gli occhi e stiamo guardando da un’altra parte, quindi scendiamo in piazza per mostrare queste interconnessioni fra clima, coscienza sociale e conflitti. Cerchiamo appunto di sensibilizzare e di puntare il faro dove in questo momento non ci sono luci ma c’è tanto buio e tanta disperazione, purtroppo.
Hai accennato ai combustibili fossili: continuano a essere il problema principale dal punto di vista climatico ambientale?
Sì, il fatto è non riuscire a immaginare un futuro al di fuori dei combustibili fossili. Con le nostre azioni e con la nostra manifestazione o i nostri eventi, cerchiamo di far capire alle persone che un altro futuro è possibile. Possiamo creare un immaginario e immaginare per esempio, banalmente, città senza combustibili fossili.
Cosa immaginate quindi concretamente?
A partire da città con molto più verde, molte meno auto e molti più trasporti pubblici – qui a Roma è un problema fondamentale -, cerchiamo di far capire alle persone che c’è un’alternativa, in sostanza. Facciamo anche incontri a scuola. È veramente difficile far capire e far vedere tutte le soluzioni che già abbiamo per migliorare le nostre città e i nostri territori.
Da una parte le persone neanche lo sanno, dall’altra in realtà abbiamo già tutte le tecnologie per fare questa transizione. Un altro punto infatti è questo: immaginiamo se, quanto e come tutti i soldi investiti nelle guerre e nei conflitti nelle armi venissero realmente spostati sulla transizione ecologica, quanto riusciremmo ad accelerare il processo.
In secondo luogo, ovviamente l’alternativa ai combustibili fossili sono le rinnovabili – a partire dalle comunità energetiche rinnovabili e solidali -, l’eolico, l’efficientamento degli edifici cosicché serva meno energia di base per riscaldarli, i trasporti pubblici. È tutta una serie di soluzioni che comunque servono alla vita quotidiana ma servono anche a evitare la fine del mondo o comunque a contrastare la crisi climatica.
Le due cose sono interconnesse?
Estremamente. Se agiamo dal punto di vista globale, miglioriamo la nostra vita quotidiana. Se agiamo per migliorare la nostra vita quotidiana, ovviamente abbiamo un impatto su scala maggiore: in più persone lo facciamo collettivamente e più la nostra azione per contrastare la crisi climatica è forte. Le rinnovabili, le Cers e tutte le azioni che possiamo fare a partire dalle nostre scuole, dai nostri ospedali, dai municipi… sono sicuramente quelli che accelerano di più l’uscita dei combustibili fossili, che ora è quanto mai necessaria.
Con il caldo di aprile sembra veramente di essere a giugno. In ogni caso la media ci dice che gli ultimi 10 mesi sono stati i più caldi consecutivamente ormai registrati. Era già preoccupante ma ora la maggior parte delle persone si sta iniziando a rendere conto che la situazione diventa ancora più preoccupante perché lo stanno provando sulla propria pelle.
Questa è un po’ la difficoltà del clima, trasmettere una cosa che non si vede, sembra lontana e sembra colpire altri territori: ‘la siccità c’è, però vabbè è in Sicilia, non è a casa mia…’. Quando invece viene a colpirti sulla tua pelle, allora inizi veramente a capire che è molto preoccupante. Però siamo già tantissimo in ritardo, quindi bisogna agire veramente in fretta.
Perché il titolo dello sciopero globale è Riprendiamoci il futuro?
Per rilanciare una speranza e un immaginario per la lotta che stiamo facendo contro il cambiamento climatico e per promuovere una transizione equa e inclusiva, verso un’economia realmente sostenibile. Resistenza climatica vuol dire resistere a un governo che non fa quello che dovrebbe, resistere ai cambiamenti climatici che stanno diventando sempre più estremi e tramite questo promuovere consapevolezza, azioni concrete e interconnessione fra tutti i temi citati.
Resistere sì ma anche nell’ottica di proporre soluzioni alternative che già ci sono. E in questo senso ci riprendiamo il futuro che ci spetta, il futuro che massacri, genocidi, guerre, conflitti e governi che non fanno quello che dovrebbero ci stanno togliendo. Quindi scendiamo in piazza, resistiamo, abbiamo soluzioni e proposte concrete.
Avete anche un’agenda climatica ancora valida, corretto?
È un’agenda in 5 punti che abbiamo lanciato a fine 2022, in vista delle elezioni nazionali, con diverse proposte su temi di acqua, energia, trasporti e lavoro. Possiamo riprenderci il futuro se ci facciamo comunità: rispetto a essere un individuo o un singolo, scendiamo in piazza assieme, proponiamo soluzioni concrete e collettive.
In quali città manifesterete?
Le città principali – Roma, Torino, Milano, Napoli – riusciranno inevitabilmente a raccogliere più persone, però molti scenderanno in piazza anche a Catania, Bari, Ventimiglia, Brescia, Verona: insomma veramente in tutta Italia e in tantissime città. Quasi tutte le regioni verranno coinvolte: anche in Sardegna, la mia regione, Sassari e Cagliari organizzeranno alcune attività.
Come mai la scelta di “convergere” a Milano sabato 20 aprile?
Sarà un momento importante per ribadire ancora di più, oltre il cessate il fuoco, che la transizione ecologica è intergenerazionale, riguarda un po’ tutte le fasce di persone: studenti e studentesse, noi giovani, lavoratori e sindacati, operai e operaie. Riguarda sicuramente tutto il comparto lavorativo, che in questo senso è sicuramente lasciato indietro ed è uno fra i più colpiti, è una delle categorie che più soffrono e soffriranno anche gli effetti della crisi climatica: già stanno soffrendo gli stipendi e i salari bassi.
In ottica futura, con scarsità di acqua, con la difficoltà di approvvigionamento di cibo, a maggior ragione avranno difficoltà ad accedere a queste risorse. Il collettivo Gkn cerca di far vedere che un’altra idea di produzione è possibile: come, quanto e anche dove ma soprattutto produrre per la comunità, quindi pannelli fotovoltaici e cargo bike, energia rinnovabile e trasporto pubblico.
Qual è l’obiettivo dello sciopero?
È il momento del contrasto al cambiamento climatico, della sensibilizzazione sull’ambiente di Fridays for Future. Coinvolgiamo piazze e città in tutta Italia, territori e Comuni vicini, scuole dalle elementari alle medie, i cui studenti – se non sono accompagnati dai professori – spesso fanno attività in classe. Questo è importantissimo perché riporta l’attenzione sul cambiamento climatico in un momento in cui non è che non c’è, ma non sta in alto quanto dovrebbe e soprattutto non si parla dell’interconnessione con tutti questi temi: guerre, conflitti, allevamento, agricoltura, fast fashion, trasporti, modo di vivere, stile di vita sostenibile…
Quali altri progetti avete in cantiere?
A breve lanceremo tutto il lavoro che stiamo facendo sui climate jobs, i lavori climatici: non c’è neanche un piano governativo per creare lavori che ci permetteranno effettivamente di fare la transizione ecologica, perché va bene installare i pannelli solari, però poi serviranno tutta una serie di azioni e di figure qualificate nei prossimi anni. Ma a livello governativo, universitario e comunale tutti questi passaggi non ci sono.
di Giorgia Colucci
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di Emma Cabascia
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April 19, 2024 at 02:26PM