La visione del premio Nobel Valentini: «La Puglia può essere pioniera di sostenibilità» – quotidianodipuglia.it

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«Indietro non si torna, nel 2030 la temperatura media globale aumenterà di due gradi centigradi. Dovremmo adattarci e fare in modo che la temperatura non aumenti ancora di più». È lapidario Riccardo Valentini, insignito nel 2007 insieme all’Intergovernmental panel on climate change, di cui ha fatto parte, del Premio Nobel per la Pace per le ricerche condotte sul cambiamento climatico. Oggi è professore ordinario di Ecologia presso l’Università degli Studi della Tuscia e membro del Comitato Intergovernativo per i Cambiamenti Climatici. La sua voce è tra le più autorevoli nel panorama italiano a proposito di clima
Professore, inverno e primavera anomali. I cambiamenti climatici stanno già iniziando a incidere nelle nostre vite?
«Assolutamente sì e sempre più incideranno in futuro. Siamo a un punto di non ritorno. Nel 2030 la temperatura media globale aumenterà di due gradi centigradi, che era il limite che era stato posto con l’accordo di Parigi per limitare le conseguenze del cambiamento climatico. Quindi già ci siamo, i due gradi centigradi ci sono. Nel Mediterraneo poi la situazione è particolarmente critica, perché si scalda più di quanto si scaldano altre zone del mondo e qui abbiamo già superato un grado e mezzo. Qualcuno magari può pensare che questi due gradi siano poca cosa, un piccolo cambiamento, ma in realtà rappresentano uno spostamento importante di energia, della termodinamica, che porterà a un aumento degli estremi della variabilità climatica. Quindi avremo sicuramente delle temperature molto elevate, degli estremi di caldo, siccità molto più prolungate, ma anche avremo delle variabilità non facili da prevedere, come ad esempio l’intensificarsi delle gelate primaverili e temperature molto fredde durante la primavera. Fattori molto importanti per le piante e per il settore dell’agricoltura, che può ricevere danni importanti. Quindi dobbiamo abituarci a questa variabilità, al cambiamento delle stagioni». 

Quali saranno i settori economici che più ne risentiranno e quindi dovranno adeguarsi a questi cambiamenti? 
«Uno su tutti l’agricoltura. Per definizione questo settore è dipendente dal clima. Le piante crescono bene e producono se piove adeguatamente, se il clima è mite, se le stagioni si rispettano. Tutto questo ora viene messo in discussione. Per le aziende agricole è un problema fare delle previsioni e gli imprenditori agricoli sono molto disorientati. Certamente dovremo fare i conti anche con gli estremi idrologici e quindi anche i settori delle infrastrutture, della viabilità, dei trasporti dovranno iniziare a convivere e adeguarsi a questi cambiamenti e a eventi sempre più estremi. In sintesi, abbiamo passato un punto di non ritorno, dobbiamo essere chiari su questo. Non si può tornare indietro e l’aumento di questi due gradi dobbiamo tenercelo. Il punto è non farli diventare di più». 
Ha parlato di punto di non ritorno, vuol dire che oltre agli interventi di contrasto per evitare un ulteriore aumento di temperatura, dovremmo attrezzarci a misure di vera e propria convivenza? 
«Esatto, dobbiamo attrezzarci con misure di adattamento. Abbiamo davanti anni duri, dobbiamo abituarci al fatto che ormai il clima è cambiato. Le infrastrutture, le risorse idriche, la protezione idrogeologica, le ondate di calore urbane che impatteranno sempre più sulla salute dei cittadini. Sono tutti elementi che devono essere al centro di un piano di adattamento. Nel Salento, ad esempio, qualcosa si sta muovendo con un piano di rigenerazione che sta portando avanti il Dajs, il Distretto agroalimentare di qualità jonico salentino. Un piano che punta a creare una nuova agricoltura, più resiliente all’adattamento climatico, meno impattante. Oltre all’adattamento poi è necessario mitigare, ridurre le emissioni, perché come ho detto l’obiettivo che dobbiamo porci è quello di impedire che la temperatura continui a salire. Dobbiamo stabilizzare la temperatura. Per fare questo dobbiamo raggiungere quella che si chiama carbon neutrality, cioè la neutralità climatica, che è il risultato del bilanciamento tra emissioni di gas serra generate ed emissioni ridotte e riassorbite. Questa neutralità climatica va raggiunta necessariamente entro il 2050, secondo quanto ha già stabilito l’Unione Europea». 

Continuiamo a ragionare sul contesto pugliese e nel concreto su uno degli assi portanti: l’agricoltura, che è di grande importanza anche per il turismo e il paesaggio del territorio. In che modo dovrà cambiare l’agricoltura pugliese? In che modo dovrà adattarsi? 
«L’agricoltura produce emissioni importanti e allo stesso tempo è uno dei perni della Puglia. È il momento di cercare e di creare un’agricoltura nuova, di investire in infrastrutture che diano la possibilità di resistere e in questo la questione idrica gioca un ruolo determinante. È necessario implementare le riserve idriche, serve una gestione oculata dell’acqua. L’irrigazione deve essere gestita con grande cura, in maniera moderna, digitalizzata. Allo stesso tempo è fondamentale investire nella biodiversità, nella forestazione, in colture che siano in grado di adattarsi a stress idrici e al nuovo clima. Bisogna investire sulla sostenibilità e rispettare la rotazione delle colture. La Puglia potrebbe arrivare a creare un marchio ben definito, per me dovrebbe diventare il simbolo dell’Italia di una agricoltura a zero emissioni. Creare una zona franca, dal grande valore anche europeo, perché sarebbe il primo distretto europeo a zero emissioni. Un risultato che darebbe un valore aggiunto alla già straordinaria produzione di qualità agroalimentare pugliese».
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April 21, 2024 at 05:18AM

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