Un ombrellone solare nello spazio (grande nove volte l’Italia): ecco il Piano B per mitigare il riscaldamento globale – Corriere della Sera
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Look up! È quello che dovremmo fare tutti, parafrasando il parossistico film (Don’t look up) che racconta con drammatica ironia la cecità umana di fronte all’evidenza scientifica. Chi, invece, ci fa i conti ogni giorno, ha il quadro ben chiaro: il “piano A” per la mitigazione del cambiamento climatico non sta dando i risultati sperati. È così che torna in auge un progetto dalle suggestioni fantascientifiche ma che ha tutti i presupposti per avviarsi verso la sperimentazione: un ombrello solare sospeso nello spazio, tra noi e il sole. L’obiettivo? Creare una mini eclisse, per mitigare il riscaldamento globale.
Per difenderci dal surriscaldamento c’è chi rilancia l’idea di farci “ombra” con un sistema sospeso tra Terra e Sole Costerebbe meno dell’energia pulita globale ma non avrebbe danni collaterali. Il tema alla Biennale Tecnologia di Torino
Una teoria avanzata già nel 1989 da James Early del Lawrence Livermore National Laboratory, come soluzione per contrastare l’effetto serra. «L’accelerazione del cambiamento climatico e l’evoluzione della tecnologia spaziale hanno riportato la geoingegneria solare nello Spazio al centro del dibattito scientifico», dice Marcello Romano, professore di impianti e sistemi aerospaziali al Politecnico di Torino e a capo del gruppo di ricerca Astradors, che affronterà il tema con John Hassler, economista specializzato in climate change dell’Università di Stoccolma, alla Biennale Tecnologia di Torino (18-21 aprile): «La verità è che siamo molto distanti dall’obiettivo di Cop28, che ha definito a +1,5° centigradi il limite dell’incremento della temperatura globale per il 2050. Per noi scienziati è una responsabilità etica cercare possibili piani B», spiega Romano. Da Torino a Stoccolma, da Glasgow a Israele, fino alle Hawaii, sono sempre di più i gruppi di ricerca nel mondo a sostegno dello scudo solare che, grazie alla robotica orbitale, sarebbe in grado di bloccare una piccola quantità di luce, corrispondente a circa l’uno per cento.
Invisibile all’occhio umano
Ma come funzionerebbe lo Space Sunshade? «Come durante il passaggio di Venere o Mercurio sopra al disco solare», spiega Romano. «Lo stesso effetto si genererebbe ponendo un ombrello spaziale a circa 2,5 milioni di chilometri da noi, in una zona d’equilibrio tra la forza gravitazionale della Terra e del Sole e l’effetto di pressione della luce solare». Secondo i climatologi questo basterebbe a contenere il riscaldamento globale senza che l’occhio umano percepisca un’alterazione in termini di luce. «I vantaggi sono diversi: in primis è un sistema che opera nello spazio senza interferire con l’atmosfera. In secondo luogo si tratterebbe di una soluzione reversibile e rimovibile. Infine, avrebbe una portata globale, senza dipendere dalle politiche locali, quindi di più facile agreement, con una conseguente omogeneità d’effetto».
I precedenti
Finora altre due tecniche di solar geoengineering sono state prese in considerazione dalla comunità scientifica: «La Stratospheric Aerosol Injection e il Marine Cloud Brightening: la prima immetterebbe nella stratosfera sostanze che aumentano la riflessività dell’atmosfera, la seconda propone di ispessire le nuvole al di sopra degli oceani e si tratta, ad oggi, dell’unica soluzione testata sopra la barriera corallina. Entrambe le tecniche richiedono un’azione locale moltiplicata a scala planetaria», dice Romano, «e interverrebbero sui fenomeni atmosferici. Per questo noi sosteniamo di più l’idea della vela spaziale».
Confronto dei costi
Si tratterebbe di una superficie enorme da realizzare: se la Stazione Spaziale internazionale ha le dimensioni di un campo da calcio, l’ombrello coprirebbe la superficie dell’Argentina (più di nove volte l’Italia) e peserebbe milioni di tonnellate. Al momento gli scienziati stanno lavorando a una technology roadmap in vista di un prototipo in scala ridotta. Ovviamente sono tante le domande: la realizzazione, il lancio, le proprietà ottiche della vela e la sua vita utile, la costruzione in orbita e la manutenzione, i costi e i tempi. «Si potrebbe partire dal 2035-2040, con una messa in opera di circa 20 anni», spiega Hassler. «Un tempo il progetto aveva costi proibitivi, oggi si parla di tre trilioni di dollari. Non è tanto, considerati gli scenari minacciosi e l’interesse globale: poco più dell’uno per cento del Pil mondiale». Secondo l’Iea, la spesa globale per l’energia pulita raggiungerà i 4,5 trilioni di dollari l’anno entro il 2030. E, secondo la World Meteorological Organization, il costo dell’inazione è maggiore del costo per contrastare la crisi climatica. Numeri alla mano, l’ombrello solare non sembra più fantascienza.
Pro e contro
Hassler confronta pro e contro: «C’è il rischio che l’attrattività di questo piano B distolga l’attenzione dal piano A che resta fondamentale, ma è un rischio che va corso perché non sappiamo se le misure in atto saranno sufficienti. Di fronte ai rischi si prendono contromisure assicurative. L’ombrello va considerato come tale e rispetto a piani B più economici – come l’iniezione di aerosol stratosferico che dipende dall’iniziativa personale dei singoli Paesi – lo Space Sunshade ha una rilevanza sul piano globale al momento unica». Il punto per la comunità scientifica è “whatever works” e “does no significant harm”: basta che funzioni senza conseguenze negative per l’ambiente. Il tempo stringe.
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April 22, 2024 at 01:02PM