Bosco Clima: dalle valli del Verbano alla città, un progetto per difendere la biodiversità dal cambiamento climatico – il Dolomiti
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“Uno dei concetti che vogliamo introdurre è che la gestione del bosco non è risolutiva. Se ad esempio un evento ha sradicato gli alberi in una data zona, le persone si aspettano che tu pianti degli alberi: lo posso fare, ma non sono in grado di ricreare il bosco in quanto tale perché la sua complessità funzionale è data non solo dalla presenza di alberi, ma da tutta una serie di altri elementi, viventi e non, che entrano in gioco nel garantire la resilienza degli ecosistemi” afferma Adriano Martinoli, docente di Conservazione e gestione della fauna presso l’Università dell’Insubria, partner del progetto Bosco Clima.
Si tratta di un progetto della Comunità montana Valli del Verbano con l’obiettivo di sviluppare una strategia di transizione climatica per l’area, tramite azioni di aumento della resilienza delle attività umane e degli ecosistemi e di riduzione delle emissioni. Il bosco è riconosciuto come elemento chiave da cui partire per ripensare il territorio, garantendone una gestione adeguata e la tutela sul lungo periodo per preservarne funzionalità importanti tra cui assorbimento e rilascio dell’acqua piovana, stoccaggio dell’anidride carbonica, qualità dell’aria e sostegno a specie animali e vegetali colpite dall’aumento delle temperature.
Centraline meteo per una gestione consapevole del territorio
Tra i partner c’è il Centro Geofisico prealpino, che si occuperà dell’installazione di nuove centraline per rendere il monitoraggio climatico il più rappresentativo possibile di tutto il territorio. “Ne installeremo dieci – afferma Paolo Valisa, meteorologo del Centro – che si aggiungeranno a quelle esistenti e serviranno a seguire l’andamento del bosco e accostare gli interventi realizzati ai cambiamenti climatici che lo colpiranno nei prossimi decenni. Ad esempio potremo monitorare l’aumento dell’evapotraspirazione nei territori boschivi, che già oggi, rispetto agli anni Settanta e Ottanta, ha portato a una perdita di acqua dal suolo quantificabile in circa cinquanta litri al metro quadro, ma anche le variazioni di temperatura, la quantità e la qualità delle precipitazioni e il vento, visto che recentemente le nostre Prealpi sono state soggette a tempeste che hanno creato molti danni.
In questo modo, inoltre, forniremo alla protezione civile elementi in più per intervenire in caso di necessità e aiuteremo Comune e Comunità montane a realizzare una progettazione di opere civili e forestali più consapevole, ad esempio un corretto dimensionamento degli alvei dei fiumi o le azioni da intraprendere per le ondate di calore.”
L’importanza dei dati sul lungo periodo
“Sarà poi fondamentale – prosegue Valisa – il confronto con le serie storiche. Ad oggi abbiamo poche centraline attive da tempo: la più antica (1967) è quella di Varese, che, pur leggermente più a Sud dell’area di progetto, è comunque rappresentativa di un trentennio prima degli anni Duemila, quando il cambiamento climatico era meno accentuato. C’è poi la stazione dell’osservatorio astronomico sulla vetta di Monte Campo dei Fiori (1973) che rientra pienamente nell’area del progetto.
Le altre stazioni sono invece più recenti, ma l’investimento che facciamo oggi si proietta su un futuro il più possibile lontano: iniziamo a raccogliere dati che diventeranno più preziosi man mano che la serie storica climatologica aumenterà nel tempo. Metteremo poi a disposizione i dati raccolti non solo a tutti, ma soprattutto a chi ha il compito di fare comunicazione perché li usi per arrivare anche a quella fetta di popolazione impermeabile a ogni informazione ragionevole ma la cui partecipazione è ugualmente necessaria.”
Dal bosco alla città: sperimentare una strategia per sensibilizzare alle buone pratiche
Altro partner è l’Università dell’Insubria. “Tra le azioni di cui ci occupiamo – spiega Martinoli – c’è il coordinamento di un centro studi che cerca buone pratiche ed esperienze innovative nel Mondo per ricalibrarle sulle nostre realtà culturali e territoriali.
L’obiettivo è partire dal bosco e arrivare al verde urbano: i maggiori impatti dei cambiamenti climatici sono infatti toccati con mano in primis in città, dove possiamo interagire con un numero elevato di persone e ragionare su determinate tematiche in un modo sinergico e complessivo. Per trovare forme di resilienza ai cambiamenti climatici dobbiamo anzitutto scalfire la percezione per la quale si tratta di problemi talmente grandi e complessi che il singolo individuo non può intervenire con piccole azioni quotidiane, che però sui grandi numeri possono fare la differenza.
Il progetto ci permette quindi di mettere a punto un sistema di tutela della biodiversità da esportare in ambiente urbano, dove, nonostante una biodiversità estremamente filtrata e ridotta, si forma la sensibilità delle opinioni pubbliche, in particolare a partire dall’approccio estetico alla natura. Prendiamo ad esempio la diminuzione dello sfalcio dei prati: chi guarda un prato con l’erba alta non pensa alla sua funzionalità ma solo che è poco curato, allo stesso modo con cui nel bosco un albero morto appare in distonia con quelli vivi. Se invece riesco a far percepire che la natura non è solo paesaggio, ma nasconde una complessità funzionale importante, le persone sapranno che un ridotto taglio dei prati permette una maggiore disponibilità di fiori per gli insetti e che dentro il legno marcescente di un albero morto si alimentano larve che ne contribuiscono alla degradazione e che diventeranno nutrimento per altre specie.
E questo permetterà anche di convincere più facilmente del perché di determinate scelte strategiche.”
Come agire dunque concretamente sui boschi?
Per quanto riguarda la pianificazione boschiva, Bosco Clima mira a permettere ai boschi di continuare a fornire i servizi ecosistemici e tutelarne habitat e specie. Sarà sviluppato un sistema su misura per le valli del Verbano per migliorare la capacità del territorio di rispondere ad aumento delle temperature ed eventi estremi, ad esempio con l’istituzione di aree protette, la creazione di nuove zone umide, il miglioramento della rete ecologica locale e la sensibilizzazione sull’importanza degli impollinatori, ma anche strategie di gestione dei boschi abbandonati, ripristino di ecosistemi forestali colpiti da incendi e interventi sperimentali di riconversione di boschi soggetti a problemi legati al cambiamento climatico.
“Non si tratta – conclude Martinoli – di azzerare la risorsa arborea e ripartire da zero, ma di sviluppare una gestione sostenibile e differenziale per i territori. Prendiamo l’esempio degli organismi alloctoni o alieni introdotti artificialmente: per le piante è un tema di vasta portata, perché in alcune zone, anche se soprattutto fuori dall’ambiente prealpino, i boschi planiziali a base di querce e carpini sono stati sostituiti da boschi di robinia, che mantengono alcune funzionalità ma comportano una forte riduzione di biodiversità. Oppure pensiamo al bostrico: la sua diffusione, pur accentuata da eventi come la tempesta Alex che nel 2020 ha abbattuto molti alberi a Campo dei Fiori, è legata al fattore climatico e alla minore compattezza del legno degli abeti rossi che si trovano a quote più basse a quelle cui dovrebbero essere.
I boschi quindi non sono semplici aggregati di alberi ma complesse interazioni tra suolo, specie vegetali e animali e per aiutare questo meccanismo ecosistemico dobbiamo iniziare a ripristinare le specie autoctone.”
April 27, 2024 at 01:26PM