Padova, lavoro nero al Mercato Agroalimentare: 30 imprenditori denunciati e decine di imprese coinvolte in tutto il Veneto – il Resto del Carlino
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Padova, 29 aprile 2024 – Falsi contratti per mascherare il lavoro nero di carico e scarico al Mercato Agroalimentare di Padova, e poi giri di fatture inesistenti e finte detrazioni di Iva. Sono 30 gli imprenditori coinvolti nell’indagine della Guardia di Finanza del comando provinciale di Treviso che ha riguardato il M.a.a.p. (Mercato Agroalimentare di Padova) dove sono stati scoperti falsi contratti d’appalto di servizi per 18 milioni di euro utilizzati per mascherare illecite esternalizzazioni di lavoratori addetti al carico e allo scarico di prodotti ortofrutticoli. A fronte di questo sono stati denunciati alla locale Procura della Repubblica 30 imprenditori per somministrazione fraudolenta di manodopera, due di essi anche per emissione e utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, mentre due società sono state segnalate per violazioni tributarie.
Sul piano amministrativo sono state formalizzate sanzioni per 2,5 milioni di euro, per illeciti afferenti alla violazione della normativa in materia di lavoro. Le imprese coinvolte nella frode sono 29, tra le quali 2 società trevigiane, attive nel settore della logistica con alle dipendenze circa 150 lavoratori e un fatturato medio annuo complessivo di 6 milioni di euro, e altre 27 aziende committenti, dislocate tra le province di Padova, Rovigo, Treviso e Venezia, di cui 23 attive al M.a.a.p..
I ricavi conseguiti erano ripartiti mediante l’emissione di fatture per operazioni inesistenti tra le 2 imprese appaltatrici per complessivi 8,5 milioni di euro, da cui è scaturita un’indebita detrazione di Iva per 1,4 milioni di euro. In relazione a quest’ultimo importo, il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Treviso ha disposto il sequestro preventivo di immobili, disponibilità finanziarie, autovetture e partecipazioni societarie.
Le indagini, condotte dal gruppo di Treviso, sono state avviate a seguito di due distinte verifiche fiscali nei confronti delle società appaltatrici, legate da un contratto di Associazione temporanea d’imprese, le quali avevano il compito di fornire i lavoratori. Una delle due, in particolare, era stata costituita al solo scopo di assumere, con contratti a tempo determinato, il personale dipendente giunto al limite massimo di rinnovi contrattuali legalmente previsto, aggirando così la normativa a tutela dei lavoratori. Ricostruendo la “filiera della manodopera”, infatti, grazie all’esame della documentazione informatica e assumendo testimonianze da diversi lavoratori, è stato ricostruito come i rapporti di lavoro con i vari committenti fossero privi degli elementi che caratterizzano la legalità dell’appalto, e cioè il rischio d’impresa e l’organizzazione autonoma di mezzi e risorse.
In primo luogo, da una serie di fogli di calcolo e da messaggi di posta elettronica tra la società appaltatrice e le committenti, è emersa l’assenza del rischio, atteso che il corrispettivo dei contratti veniva commisurato esclusivamente al costo orario dei lavoratori forniti dalle imprese trevigiane (con l’aggiunta di un modesto margine di profitto), senza alcun legame a obiettivi di risultato. In secondo luogo, è stata desunta una vera e propria assenza di organizzazione delle risorse in capo alle imprese appaltatrici, sia per quanto attiene i beni strumentali necessari all’esecuzione dei servizi oggetto dei contratti, i cui costi di noleggio e manutenzione venivano riaddebitati puntualmente alle appaltanti, sia con riferimento all’esercizio del potere direttivo sulle maestranze somministrate, di fatto etero-dirette, cioè soggette alla gestione e controllo da parte dei committenti, rimanendo alle società somministratrici solo compiti di natura amministrativa.
In particolare, i lavoratori, nel corso delle prestazioni, eseguivano gli ordini impartiti dagli stessi clienti finali delle società sottoposte a verifica, i quali decidevano il numero dei dipendenti quotidianamente necessari, le mansioni da svolgere, gli orari e le modalità esecutive; emblematica la circostanza che, in alcuni casi, i committenti abbiano personalmente proceduto ai colloqui nei confronti degli operai che le imprese appaltatrici dovevano assumere, imponendo loro anche specifiche clausole contrattuali ed erogando premi produzione ad personam. Da qui, l’inesistenza giuridica delle fatture emesse dalle società trevigiane sia tra loro (per 8,5 milioni di euro) sia nei confronti delle committenti (per 18 milioni di euro), per un totale di 26,5 milioni di euro.
April 29, 2024 at 11:19AM