Cronache dall’Alaska, il racconto dell’esploratore Alex Bellini dopo aver pedalato 1800 chilometri: ”Il cambiamento del … – il Dolomiti

Cronache dall’Alaska, il racconto dell’esploratore Alex Bellini dopo aver pedalato 1800 chilometri: ”Il cambiamento del … – il Dolomiti

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Raccontare il cambiamento climatico andando lì dove gli effetti sono più devastanti, nell’estremo sud e nord del mondo. È la scelta, coraggiosa, di Alex Bellini, l’esploratore italiano noto soprattutto per aver navigato, a remi, lungo i 10 fiumi più inquinati del mondo e per  aver attraversato l’Oceano Atlantico e l’Oceano Pacifico, raccontando il Great Pacific Garbace Patch, 1,6 milioni di chilometri quadrati (circa tre volte la Francia), di un denso brodo di plastica galleggiante.

 

 

Alex Bellini, insieme al suo compagno di viaggio, Alessandro Plona, ha concluso a fine marzo la prima tappa di questo viaggio dedicato al climate change, la traversata dall’Alaska lungo il percorso dell’Iditarod, la mitica corsa dei cani da slitta. Un viaggio che, in realtà, è stata una lunga pedalata di 1800 chilometri su due  prototipi di mountain bike nati da plastica riciclata, creati in laboratorio, con la stampante in 3D. Immersi nella neve, perché tra febbraio e marzo l’Alaska è stata colpita da nevicate eccezionali. “Siamo partiti con l’obiettivo di dar voce alle questioni climatiche che colpiscono le regioni polari e che a noi europei sembrano tanto distanti. Ma è lì, in prossimità dei poli, che l’effetto del climate change è più devastante”, racconta Alex quando lo incontro, prima di un evento del festival triestino MareDireFare  che lo vede protagonista insieme ai ricercatori dall’Istituto Nazionale di Geografia e Geofisica Sperimentale per raccontare di mare e ghiacci.

 

 

 

“Il cambiamento del clima cambia l’Alaska, questo è chiarissimo”, esordisce Alex. “Ci sono moltissime piccole comunità, fragili, che devono e sempre più dovranno adattarsi al cambiamento. Per moltissime l’unica opzione per sopravvivere è la ricollocazione, quindi lo spostamento, perché le coste, travolte dalle tempeste sempre più violente e frequenti, vengono erose. E se a noi cittadini europei questa prospettiva non pare drammatica, per chi vive da sempre in quei luoghi, quasi ancorato, senza spostarsi, il luogo è parte della definizione dalla persona. Abbiamo visto quello che accade a Shaktoolik, un villaggio sulla costa occidentale dell’Alaska, a 400 chilometri da Nome, con circa 200 abitanti. L’innalzamento delle temperature medie ritarda il congelamento del ghiaccio marino e costiero, così sempre più spesso immense onde colpiscono la terraferma, provocando devastanti inondazioni. Shaktoolik è uno dei tanti villaggi dove si vive, concretamente, il rischio della ricollocazione. Ma non basta , c’è anche il problema dello spostamento degli ungulati, ad esempio, che a causa del climate change cercano zone più accoglienti. E in questa terra, dove il 90% delle persone vive di sussistenza, il problema diventa enorme perché per cacciare bisogna fare più chilometri, consumare petrolio per le motoslitte, spendere denaro che magari non c’è”, commenta Bellini. “C’è poi un’altra conseguenza del climate change : lo scioglimento del permafrost. A queste latitudini ciò significa che nelle zone toccate da questo problema, come intorno alla città di  McGrath, proliferino microrganismi e batteri, capaci di influenzare le abitudini della fauna e di causare danni al fragile ecosistema”. 

 

La bici, da sempre mezzo di trasporto economico, semplice, democratico ed inclusivo, è stata la soluzione ideale per scoprire l’Alaska. Bellini, che già aveva fatto due lunghi viaggi a piedi in Alaska, nel 2002 e nel 2003, cercava un modo ecologico per spostarsi . “Autoprodurre i telai in plastica della bici, gli Impact, ci ha permesso non solo di avere una bici efficiente, ma anche di creare innovazione. L’idea che abbiamo voluto portare avanti è che la plastica, di cui parliamo soprattutto in quanto rifiuto, può essere, anche un materiale affidabile e riciclabile. Non è stato facile perché dovevamo sfidare temperature molto basse e rischi di rotture, che ci hanno imposto l’uso di additivi. Inoltre dovevamo portare con noi parecchio materiale, per questo il telaio è anche struttura portante e cela una sorta di vasca-contenitore”, aggiunge Alex . Arrivare a questi prototipi, dopo uno “studio matto e disperatissimo”, per citare Leopardi, è un risultato eccellente, perché propone una nuova via, un’alterativa a materiali classici e alle lavorazioni più complesse, come quella dell’alluminio o del carbonio, anche per portare un modo per creare le bici lì dove questi materiali o la tecnologia per lavorarli non c’è.  E poi la bicicletta permette di arrivare in modo lento, gentile. “La gente dell’Alaska si è incuriosita per questa bici strana, si creava immediatamente un’occasione per parlare. È stato un aiuto in più, ma da sempre le persone dell’Alaska sono accoglienti. Moltissimi sono immigrati di seconda e terza generazione e vivono in una terra spesso dura, dove l’aiuto degli altri spesso è fondamentale.  Siamo stati invitati nelle case, in alcune occasioni siamo stati anche sfamati, anche perché il viaggio è durato 12 giorni in più rispetto alle previsioni e, pur razionando,  il nostro cibo liofilizzato alla fine non era sufficiente”, spiega Bellini. “Non volevamo piombare nei paesi come degli astronauti, delle persone “diverse”. La bici ci ha aiutato ad integrarci e a farlo nei tempi brevissimi che avevamo a disposizione”, aggiunge. 

 

 

L’allungamento dei tempi per percorrere i 1800 chilometri è stato causato dalla quantità enorme di  neve presente lungo il percorso e da giornate con temperature estremamente fredde.  Come testimoniato da molte delle persone che Alex e Alessandro hanno incontrato nel loro viaggio, l’inverno più mite, in Alaska, spesso porta a nevicate davvero abbondanti e, comunque, a picchi di freddo, brevi ma molto intensi. Brad Sturm, il parroco del villaggio di McGrath, ha ospitato i 2 esploratori italiani in una giornata particolarmente impegnativa, con il termometro arrivato a -40°C. Alex ha raccolto la sua testimonianza. “Passiamo tanto tempo ad affrontare il freddo, ed è estremamente faticoso da punto di vista fisico e  finanziario, quindi gli inverni meno freddi sono i benvenuti: le case sono più facili da riscaldare, bruciamo meno carburante e dobbiamo raccogliere meno legna , tutte cose positive. Talvolta, poi, non avere un inverno particolarmente freddo può essere più semplice anche per gli animali. Ma ci sono anche alcune enormi criticità. I recenti inverni più caldi stanno portando enormi nevicate che mettono in  drammatica  crisi animali grazie ai quali noi sopravviviamo . Adoriamo il clima più caldo, ma ci rendiamo conto delle difficoltà che crea ad alci, pecore e ai predatori. E poi siamo preoccupati per gli insetti: si palesano zecche e pulci , che non abbiamo mai avuto. Direi che c’è preoccupazione anche per quanto riguarda l’attraversamento dei fiumi. I più anziani  si ricordano di oltre un metro di ghiaccio sul loro letto, una solida base su cui si potevano guidare scavatori e mezzi pesanti per spostare legname ed edifici. Ora tutto questo  è una rarità, il ghiaccio è più sottile,  fragile, ed è scuro, di bassa qualità”. Un sunto prezioso, che ci fa capire quando queste piccole comunità siano indifese davanti alla forza del clima che cambia e a come possano essere travolte. “Ho sentito tante testimonianze”, aggiunge Alex. “Ho dialogato con persone che non vedevano il cambiamento climatico come una grande emergenza, che mi hanno raccontato dei vantaggi economici immediati. Questo è il frutto soprattutto delle difficoltà economiche delle persone: sanno che si corrono rischi enormi, che la situazione diventerà sempre più grave, ma sono contenti che la spesa per  riscaldarsi , ora, sia più bassa”. Una conferma di quanto, in ogni angolo del mondo, per affrontare davvero il climate change servono educazione e giustizia sociale ed economica.

 

 

La lunga pedalata attraverso l’Alaska, raccontata nei dettagli sul sito di Alex (www.alexbellini.com)  era solo la prima tappa del progetto triennale “Eyes on Ice”, dedicato ai poli. “I poli ospitano una biodiversità straordinaria, forniscono cibo e mezzi di sostentamento a centinaia di migliaia di persone e regolano il nostro clima. Sono aree fragili, ma fondamentali per la vita di tutti. Il loro futuro e il nostro futuro sono strettamente legati. Sebbene siano aree indispensabili per bilanciare i sistemi Terra, la conoscenza di questa parte del mondo è davvero limitata”, aggiunge Bellini. Tanto che altre due ambiziose esplorazioni sono già in programma.  Per il 2025 è prevista la traversata della Groenlandia. “Sto valutando di unirmi in team con un esploratore groenlandese per un viaggio con i cani da slitta, da sud a nord. Non ho certezze, ci stiamo organizzando per vedere se sia fattibile farlo insieme, ci saranno da percorrere circa 2600 chilometri”, anticipa Alex. E poi la sfida ancora più dura, forse impossibile: la traversata, nel 2026, dell’Oceano Artico. “Sarà difficile, ma ci sto già lavorando. I tempi di approvazione degli organi di sicurezza sono lunghissimi, ma soprattutto c’è il problema del ghiaccio marino, assente o inconsistente. L’idea di partenza era risalire dal Canada al Polo Nord geografico, ma dal 2019 nessuna spedizione è riuscita, per ragioni di sicurezza, a partire lungo questa rotta. L’alternativa potrebbe essere il Polo Sud. Anche lì il cambiamento climatico si fa sentire, ma c’è la possibilità di muoversi, comunque, sulla terra ferma”, spiega Bellini con lo sguardo determinato ma un po’ rattristato. “L’obiettivo è portare informazione e sensibilizzazione. Credo di essere nato per fare l’esploratore, ho una passione davvero grande. Una spedizione può avere un valore più alto, importante, se ci si prefigge di viaggiare con rispetto, gentilezza per l’ambiente e le persone e voglia di far conoscere”, conclude. In bocca al lupo Alex. Grazie per ricordarci che il mondo è di tutti e nulla è troppo lontano.  

 

 

 

 

April 30, 2024 at 06:31PM

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