Più di 2 miliardi di lavoratori soffrono di problemi di salute a causa della crisi climatica – La Svolta

Più di 2 miliardi di lavoratori soffrono di problemi di salute a causa della crisi climatica – La Svolta

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«Il cambiamento climatico crea un cocktail micidiale per i lavoratori del mondo, e se non si prendono al più presto provvedimenti in materia di tutela ambientale e sicurezza sul lavoro i malati saranno sempre di più». È con queste parole che che Manal Azzi, team leader del Dipartimento salute e sicurezza sul lavoro dell’International Labour Organisation (Ilo), ha presentato a Ginevra i dati relativi all’impatto del cambiamento climatico sui lavoratori.

Dati che, come si legge nel report Ensuring safety and health at work in a changing climate, testimoniano una realtà drammatica: secondo le analisi dell’Ilo, infatti, a oggi sarebbero più di 2,4 miliardi (su un totale di 3,4 miliardi) i lavoratori che, a causa del cambiamento climatico, soffrono di problemi, gravi o gravissimi, legati alla propria salute, che sarebbe messa a continuo repentaglio dagli effetti e dalle conseguenze che il climate change, sempre di più, registra a livello globale.

Eccessive ondate di calore, eventi atmosferici estremi, esalazioni tossiche derivanti dall’utilizzo di fertilizzanti o altri componenti chimici: questi sarebbero alcuni tra i maggiori fattori di rischio individuati dall’organizzazione come responsabili di gravi conseguenze sulla salute dei lavoratori che, trovandosi spesso ad affrontare nuove condizioni climatiche mai sperimentate senza adeguate protezioni, sarebbero sempre più esposti a incidenti, malattie e infortuni, anche gravi o gravissimi, arrivando in alcuni casi alla morte.

Perché proprio di questo parla l’ultimo studio Ilo: come si legge nel rapporto, infatti, “ci sono prove consistenti a dimostrazione del fatto che numerosi malattie, anche gravi o mortali, che colpiscono i lavoratori del mondo sono una conseguenza diretta del cambiamento climatico, e tra queste vi sono cancro, malattie cardiovascolari, malattie respiratorie, disfunzioni del fegato e problemi legati alla salute mentale”.

Come sottolineato in sede di presentazione del report, non tutte le persone sono esposte a questi rischi allo stesso modo: come ribadito dagli studiosi, infatti, sarebbero soprattutto i lavoratori delle aree più povere del mondo a pagare le conseguenze del cambiamento climatico in termini di sicurezza e salute, nonché a essere i soggetti più esposti al rischio di malattie e infortuni provocati appunto dalle conseguenze estreme del surriscaldamento globale, e non solo.

In particolare, 3 sarebbero le categorie più colpite: agricoltori, impiegati nel settore dei trasporti, lavoratori nel campo dell’edilizia e costruzioni. Costretti a lavorare per ore all’aperto, a diretto contatto con la luce solare e gli altri agenti esterni nonché, in buona parte dei casi, senza l’adozione di misure di sicurezza in grado di tutelarne la salute e l’incolumità, questi soggetti si troverebbero spesso esposti a raggi Uv, emissioni tossiche e gas inquinanti, correndo anche il rischio di contrarre malattie trasmissibili da insetti (come nel caso di malaria, dengue o febbre gialla) o altri vettori.

Allo stesso modo, sarebbero particolarmente vulnerabili coloro che lavorano al chiuso in spazi troppo caldi, o poco ventilati, o ancora i soggetti che passano un numero eccessivo di ore in luoghi privi di adeguati impianti di condizionamento. Tra questi, precisa lo studio, i più rischiosi per la salute dei lavoratori sarebbero le fonderie; tuttavia, per le condizioni ambientali in cui in spesso si trovano, presenterebbero severi rischi per la salute umana anche le lavanderie, le tintorie, le panetterie e i forni.

Ma non è tutto: stando alla ricerca, infatti, anche i lavoratori del comparto dei servizi di emergenza e del settore sanitario sarebbero a rischio, insieme ai dipendenti di altri servizi pubblici di primaria importanza; è il caso a esempio i vigili del fuoco che, già svolgendo una professione definita “pericolosa” si troverebbero a fronteggiare, a causa del cambiamento climatico, anche situazioni di rischio mai viste prima.

In generale, ogni anno si verificherebbero nel mondo circa 22.85 milioni di incidenti sul lavoro, dei quali 2.09 sarebbero causa di invalidità permanente: 18.970 sarebbero mortali. Oltre a ciò, circa 300.000 lavoratori muoiono per intossicazione da pesticidi, e più di 850.000 per inquinamento dell’aria sul luogo di lavoro. Altrettanto numerose sarebbero, inoltre, le morti dovute a malattie della pelle provocate dai raggi Uv (quasi 19.000 provocate solo da tumori cutanei diversi dal melanoma) e i decessi causati da infezioni provocate da parassiti e vettori animali (circa 15.000).

Come poi emerge dagli ultimi studi pubblicati dall’Ilo, a mettere sempre più a rischio la salute e la sicurezza dei lavoratori non sarebbe solo il cambiamento climatico ma anche la vertiginosa e incessante crescita del lavoro forzato. Come si legge nello studio Profits and poverty: The economics of forced labour, il 2023 oltre a essere stato “l’anno nero” in materia di clima e sicurezza sul lavoro, sarebbe stato anche l’anno in cui lo sfruttamento dei lavoratori ha generato profitti più alti, arrivando a un totale di oltre 326 miliardi di dollari (si tratta di circa 10.000 dollari per ogni vittima, quasi il 40% in più rispetto a 10 anni fa).

Si parla, anche qui, di numeri drammatici, soprattutto se si considera la principale forma di sfruttamento applicata a livello lavorativo, ovvero lo sfruttamento sessuale. Stando ai nuovi dati dell’Ilo, infatti, a oggi il 73% dei proventi totali derivanti dal lavoro nero deriverebbe dallo sfruttamento dei “sex workers”; tra le aree del mondo particolarmente colpite ci sono Europa e Asia centrale (con profitti da 84 miliardi di dollari), Asia e Pacifico (62 miliardi), e Americhe (52 miliardi). In fondo alla classifica: Africa e Paesi arabi, sebbene questo dato sia relativo esclusivamente all’ammontare dei proventi e non alla diffusione del fenomeno in sé. Stando ai numeri Ilo, allo sfruttamento sessuale seguirebbero nella classifica il lavoro forzato nell’industria, con 35 miliardi di dollari di profitti, i servizi (20,8 miliardi di dollari), l’agricoltura (5 miliardi) e il lavoro domestico (2,6).

«Il lavoro forzato perpetua un circolo vizioso di povertà e sfruttamento, e nega la dignità delle persone – ha dichiarato Gilbert F. Houngbo, direttore generale dell’Ilo – E davanti a questi numeri, ora, tutti sappiamo che la situazione è peggiorata. Non si può più fare finta di niente: è tempo che la comunità internazionale si unisca nell’azione per porre fine a questa ingiustizia, per salvaguardare i diritti dei lavoratori e sostenere i principi di equità e uguaglianza per tutti». Perché conseguenze e numeri ancora peggiori, avvertono da Ginevra, potrebbero non tardare ad arrivare.S

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