Il cambiamento climatico minaccia il ritrovamento di meteoriti in Antartide | Il Bo Live UniPD – Il Bo Live – Università di Padova

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Sebbene le meteoriti cadano in modo uniforme su tutta la superficie della Terra, oltre il 60% di tutti i campioni raccolti a livello globale e attualmente presenti nelle collezioni proviene dall’Antartide. Il motivo è facilmente intuibile: scorgere questi materiali extraterrestri, di colore scuro, sulle immacolate distese di quello che viene talvolta definito il contiente bianco è senza dubbio più facile che farlo negli abissi degli oceani, in un ambiente dove le rocce sono esposte, o in un contesto dominato dalle attività antropiche.

Per gli scienziati che fanno parte di spedizioni finalizzate al ritrovamento di meteoriti, l’Antartide è dunque un’area molto favorevole e il motivo per il quale è importante analizzare e studiare questi materiali (oltre al fatto che possono assumere anche un elevato valore commerciale) è che sono "oggetti primordiali prodotti dal sistema solare e dunque ci svelano la sua intera storia", come ricorda il professor Fabrizio Nestola del dipartimento di Geoscienze. 

Secondo uno studio guidato da ricercatori dalla Libera Università di Bruxelles e pubblicato di recente sulla rivista Nature Climate Change, entro il 2050 circa un quarto delle meteoriti presenti in Antartide e non ancora individuate (le stime vanno da 300.000 a 850.000 esemplari) rischia però di andare perso a causa dello scioglimento dei ghiacciai innescato dal riscaldamento globale. Attualmente gli scienziati recuperano circa 1.000 meteoriti ogni anno ma l’aumento delle temperature comporta già la perdita di circa 5.000 campioni all’anno e, in uno scenario di forti emissioni, il 76% delle meteoriti visibili affonderà sotto il ghiaccio prima della fine di questo secolo. 

La ricerca è stata condotta abbinando l’utilizzo dell’intelligenza artificiale, le osservazioni satellitari e le proiezioni dei modelli climatici. Le possibilità di affioramento delle meteoriti è stata valutata considerando fattori quali la copertura nevosa, le temperature superficiali, la velocità di scorrimento del ghiaccio e la ripidità del terreno.

Un precedente studio, pubblicato nel 2022 su Science Advances da alcuni degli scienziati che hanno preso parte anche a questo nuovo lavoro, aveva già disegnato una sorta di mappa del tesoro delle meteoriti in Antartide: in totale 600 zone più o meno grandi di cui la gran parte non è ancora mai stata esplorata e che secondo i ricercatori potrebbero custodire quasi 300.000 rocce spaziali ancora da scoprire. La maggior parte degli esemplari è stata recuperata in prossimità della base delle montagne, aree in cui i meccanismi di scorrimento della calotta glaciale e i forti venti che spazzano via la neve esponendo antichi strati di ghiaccio di colore blu, consentono alle meteoriti di essere visibili in superficie.

Con questa nuova ricerca, guidata dai glaciologi Veronica Tollenaar e Harry Zekollari, è stato possibile stimare quante meteoriti rischiano di essere perse per sempre sotto il ghiaccio, a causa dell’aumento delle temperature. Per ottenere queste indicazioni sono state effettuate simulazioni in base a quanto potrebbe essere accentuato il riscaldamento climatico a cui stiamo andando incontro. L’avvertimento giunto dagli scienziati è molto chiaro: se l’aumento di temperature sarà limitato a 1.5°C-2.0°C gradi in più rispetto all’era preindustriale, nel 2050 il numero di meteoriti a cui sarà possibile accedere diminuirà tra il 9% e il 20%. Ma scenari di riscaldamento globale più gravi comporteranno perdite maggiori: se le temperature aumenteranno di 4°C, oltre la metà delle meteoriti del continente bianco non sarà più recuperabile e in caso di incrementi di temperatura ancora superiori si potrà arrivare a perdere il 76% dei campioni. 

A causa del loro colore scuro le meteoriti assorbono più calore e lo trasferiscono al ghiaccio sottostante, provocandone la fusione. "Attraverso questo processo, il meteorite caldo crea una cavità nel ghiaccio e col tempo scompare completamente sotto la superficie”, ha affermato Tollenaar. I processi più superficiali sono infatti diversi dai lenti e perenni flussi del ghiaccio profondo che possono portare verso l’alto meteoriti rimaste intrappolate per centinaia di anni.

A tale proposito vale la pena citare anche un altro studio, pubblicato nel 2016 su Nature Communications, che ha cercato di spiegare i meccanismi fisici che portano a un apparente deficit di meteoriti di ferro in Antartide. Le meteoriti ricche di ferro rappresentano in genere il 5,5 per cento di tutte quelle trovate, ma in Antartide questa percentuale è in media appena dello 0,7 per cento e in alcune zone di affioramento si abbassa fino allo 0,3 per cento. La spiegazione a cui è giunta questa ricerca è che le meteoriti con una conduttività termica più elevata, come appunto quelle ferrose, possono affondare a una velocità sufficiente a compensare il trasporto totale annuo di ghiaccio verso l’alto. Il motivo è che la parte della radiazione solare che riesce a penetrarvi inizia a scaldarle, molto più di quanto accada per le meteoriti povere di elementi ferrosi. Questo processo comporta l’intrappolamento permanentemente delle meteoriti ricche in ferro sotto la superficie del ghiaccio e spiega la loro assenza dai dati di raccolta. 

Gli scienziati sottolineano quindi l’urgenza di pianificare sforzi concertati con l’obiettivo di recuperare i reperti prima che le possibilità che siano ancora accessibili si riducano irreversibilemente. E, naturalmente, ricordano la necessità di ridurre rapidamente le emissioni di gas serra nel pianeta.

Le meteoriti, come gli asteroidi, sono materiali extraterrestri che permettono di accedere a informazioni cruciali sull’origine e l’evoluzione del Sistema solare. Il grande punto di forza degli asteroidi, soprattutto da quando sono state sviluppate sofisticate missioni di sample-return, è quello di essere corpi celesti i cui campioni possono essere prelevati direttamente in loco senza che abbiano subito contaminazioni dovute al contatto con la nostra atmosfera. Inoltre permettono di conoscere con certezza la provenienza del campione analizzato.Tuttavia bisogna ricordare che queste missioni presentano costi molto elevati e richiedono tempi notevolmente lunghi. Tanto per fare un esempio pensiamo ad Osiris-Rex, prima sample-return asteroidale della Nasa, il cui lancio verso l’asteroide Bennu è avvenuto nel settembre del 2016 e i campioni raccolti hanno toccato Terra solo sette anni dopo, il 24 settembre del 2024. 

Per quanto non esistano meteoriti incontaminate sulla Terra, i campioni recuperati in Antartide sono tra le rocce spaziali meno esposte agli agenti atmosferici sul nostro pianeta perché l’ambiente secco e freddo contribuisce a preservarle. Un motivo in più, spiegano gli scienziati, per recuperare il maggior numero di reperti possibile e per non rischiare di perdere dei testimoni fondamentali della storia del nostro sistema solare. 

 

May 2, 2024 at 09:33AM

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