SOSTENIBILITÀ – Festa dei lavoratori? Quanti passi ancora da compiere – Canturino.com – Canturino.com
https://ift.tt/3bnsBOQ
RUBRICA – Una festa che riunisce tutti, quella dei lavoratori, ognuno con le sue sfumature: chi il lavoro ce l’ha, chi lo sta cercando, chi ce l’ha ma è precario o sottopagato, chi lo ha avuto per anni e ora è in pensione, chi muove i primi incerti passi. Il lavoro coinvolge tutti ma, attualmente, quanto è sostenibile nel nostro Paese? Lo chiediamo a Pasquale Coppolella, consulente aziendale sulla sostenibilità.
Dottor Coppolella il 1° maggio è la festa dei lavoratori. Quali sono le problematiche dei lavoratori in Italia?
Ce ne sono tante, purtroppo, la maggior parte legate al livello di arretratezza del nostro sistema lavorativo e scolastico e ad una mentalità che definirei medievale da parte di chi genera la domanda. Partiamo dai salari che, in un contesto a forte impatto inflattivo, come quello in cui ci troviamo, rappresenta una variabile di non poco conto. Negli ultimi 30 anni il salario medio in Italia non ha avuto aumenti significativi, semmai è diminuito, mentre è aumentato negli altri 37 Paesi Ocse. Una solitudine sbalorditiva. Seppure l’occupazione media sia aumentata in termini numerici, la stessa cosa non si può dire per il salario. Non sorprendente il paradosso che il mondo della ristorazione, che è quello che notoriamente paga meno, sia alla continua ricerca di personale, che “non si rende disponibile”. Sarà un caso? A questo aggiungo inoltre una precarietà dell’offerta, composta da tempi determinati, stage e affini, che è ormai insita nel sistema delle assunzioni in Italia, come se l’assunzione a tempo indeterminato fosse una conquista da ottenere dopo percorso tortuoso, tipo via crucis obbligatoria. Molto diffuso ancora il lavoro in nero, che oltre ad avere impatti molto negativi sulle persone, contribuisce ad aumentare l’evasione fiscale e la contribuzione Inps, a danno di tutti noi, a cui vanno aggiunte tutte le situazioni di sfruttamento della manodopera straniera con casi sconvolgenti di caporalato, a cui siamo ormai abituati. La manodopera per l’agricoltura, e non solo, è di fatto quasi tutta straniera e sotto pagata, senza contribuzione pensionistica, né pagamento Irpef in molti casi. A tutto questo aggiungo il gravissimo problema della bassa occupazione femminile con salario medio inferiore a quello maschile, gravissimo perché oltre a pesare sui numeri dell’occupazione e quindi sulla contribuzione al prodotto interno lordo, sta generando il devastante calo della natalità, che è un problema di cui abbiamo parlato e i cui impatti saranno giganteschi nei prossimi anni. Le giovani ragazze devono rinunciare spesso ad essere mamme per competere con i pari età di sesso maschile, con supporti risibili o inesistenti da parte dello Stato, spesso in situazioni in cui non si hanno a disposizione parenti vicini o non si guadagni in modo “sostenibile”. Termino questa breve disamina con un altro fenomeno che purtroppo sta diventando parecchio grave in Italia: la fuga all’estero delle migliori professionalità, non necessariamente laureati, sia bene inteso, fenomeno del quale possiamo leggere sempre più frequentemente sui mezzi di informazione. In altri termini, sempre più spesso e sempre con maggiore coraggio chi possiede competenze e professionalità si trasferisce all’estero, dove ottiene un lavoro “sicuro”, il più delle volte pagato più del doppio. Una perdita colossale e, sembra, inarrestabile, per il sistema del lavoro italiano, che oggi fa molta fatica a trovare queste professionalità, forse perché non le vuole pagare come dovrebbe. Ho letto una notizia di recente che mi ha impressionante: il 43% delle offerte di lavoro per personale altamente formato e specializzato resta non soddisfatta in Italia. I tentativi di “riportare a casa” professionalità importanti con una detassazione significativa li considero il solito approccio all’italiana di agire quando è troppo tardi, fra l’altro il governo ha ridotto fortemente questo incentivo dal 2024 e quindi di “ritorni"ce ne saranno sempre meno. Una situazione generale molto preoccupante.
Cosa prevede per le generazioni future?
Personalmente sono abbastanza ottimista per un fatto puramente numerico. Mentre i lavori “più umili” verranno sempre di più fatti dalla manodopera importata, cosa inevitabile ed incontrovertibile, le nuove generazioni saranno sempre di più focalizzate sui lavori più professionalizzati. Prevedo che l’esodo verso l’estero continuerà, purtroppo, siamo ancora molto, troppo distanti dagli standard degli altri Paesi e le nuove generazione sempre meno paurose a “provare”. Tuttavia, non dimentichiamoci che il tasso di natalità si è ridotto drammaticamente e quindi, al netto di quelli che emigreranno, ci saranno molte meno persone da occupare, se paragonate alle generazioni precedenti. Cioè, paradossalmente, se guardiamo qualche decina di anni in avanti, avremo scarsità di personale in certe aree, con necessità di importare personale anche in aree altamente professionalizzate. Difficile da immaginare, ma i numeri parlano. Guardiamo per esempio al numero di medici. Abbiamo praticato il numero chiuso ma, notizia recente, è in fase di eliminazione. Stanno chiudendo scuole di ogni tipo per mancanza di studenti e per certe facoltà universitarie sono crollate le iscrizioni. Insomma calerà l’offerta a fronte di uno sperato mantenimento della domanda, questo significa che miglioreranno le condizioni per chi può offrire. Però le condizioni di lavoro richieste non potranno essere quelle praticate fino ad oggi. Il 39% della Generazione Z (1995-2010) è insoddisfatto della flessibilità oraria offerta dal proprio datore di lavoro attuale e il 37% della flessibilità del luogo di lavoro (smartworking). L’insoddisfazione delle generazioni più giovani non deve essere ignorata dai leader delle risorse umane. Molto meno leali dei lavoratori più anziani, molti tra i più giovani hanno dichiarato pubblicamente che prenderebbero in considerazione la possibilità di cercare un nuovo lavoro se il datore di lavoro ordinasse loro di lavorare in ufficio a tempo pieno.
Quali interventi politici sono necessari per migliorare la situazione?
La nostra costituzione recita: “L’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro”, che è una bellissima ed emozionante dichiarazione di principio, che fa intendere che tutti quelli che ne fanno parte dovrebbero avere un lavoro, o almeno essere messi in grado di poterlo avere. Priorità massima quindi al lavoro e al lavoro dignitoso: il salario minimo deve diventare un diritto, io non ho dubbi a riguardo. Il lavoro genera il PIL e il PIL è l’indicatore del benessere. Prima che alle politiche sul lavoro, i governi devono guardare alla “generazione del lavoro”, attraendo e favorendo investimenti, soprattutto dall’estero, rendendo il costo del lavoro competitivo in Italia (il costo del lavoro non è il salario netto, che va salvaguardato, ma le varie tasse e contributi). Una volta che c’è richiesta di lavoro è tutto più facile, anche ottenere aumenti salariali e flessibilità. Il tutto si riconduce ad eliminare una volta per tutte l’evasione e l’elusione fiscale, che impedisce di ridurre le tasse sul lavoro. Quindi lo Stato in primis, ma parte della società civile altrettanto.
Bisogna poi fare qualcosa per le donne, che oggi sono palesemente sfavorite e sono più della metà della popolazione, con percentuali di disoccupazione elevatissime. Servizi per i bambini e flessibilità al lavoro, nulla di nuovo in Paesi del nord Europa, dove l’occupazione femminile è molto alta.
Infine i giovani. Come detto, la generazione Z e, diciamolo pure, parte di quella precedente, la generazione Y, i Millennials, ingiustamente vengono etichettati come “bamboccioni”. Ma sono ragazzi super qualificati reclutati per niente, con stage infiniti sostitutivi di assunzioni assolutamente necessarie. Ai miei tempi lo stage non esisteva neanche come concetto, certo lo sfruttamento esisteva anche all’epoca, ma non legalizzato ed istituzionalizzato come oggi. Maree di ragazzi lasciati alla mercè del mercato, sono stati trasformati dal “futuro del nostro Paese” a bamboccioni, come quelli che non sanno guardare al successo. Iil problema è: quale successo e cos’è il successo?. Questa storia va ormai avanti da qualche decennio ed è arrivato il momento di porle fine.
S.D.D.
May 2, 2024 at 09:02AM