Nuovi isolanti per chip: una startup promette più velocità e meno sprechi – ZeroUno
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Nessuna opzione va trascurata quando si tratta di minimizzare i consumi di energia del mondo IT. È una delle sfide aperte e che sta sempre di più turbando il pianeta, non solo la fetta che ha a cuore l’ambiente ma anche chi ha in mente il proprio business. Se continuiamo così, il progresso tecnologico potrebbe rischiare di subire rallentamenti, infatti, per mancanza di energia a supporto.
Nella disperata ricerca di soluzioni che possano contribuire a una mitigazione dell’impatto energetico di e su questo settore, c’è anche chi lavora sui componenti dei singoli chip.
Tra gli strati microscopici collegati con fili di rame di cui sono composti, c’è una pellicola dielettrica che pochi conoscono. Grazie al suo potere isolante, essa fa in modo che i fili non entrino in contatto, provocando un cortocircuito. Un “ingrediente magico”, essenziale, di cui da 30 anni detiene il monopolio un’unica azienda giapponese chiamata Ajinomoto. Un ingrediente anche imperfetto, però, e che sembrerebbe poter offrire ambiti di miglioramento a chi è disposto a investire tempo e soldi per provare a migliorarne le caratteristiche.
Vista la situazione globale, e l’onnipresenza dei chip in ogni ambito dell’economia e della vita quotidiana, per qualcuno ne vale la pena.
Spazi tra chip, spazi di miglioramento
La più audace tra tutti, tra chi dichiara pubblicamente un “working progress” sul tema, è una startup statunitense chiamata Thintronics. Questa giovane motivata azienda si sta dedicando alla ricerca di una risposta alle esigenze energetiche legate dell’intelligenza artificiale studiando una suite di nuovi materiali che possano mostrare proprietà isolanti superiori.
Il suo ambizioso obiettivo è permettere ai data center di raggiungere velocità di calcolo più elevate e costi energetici inferiori. Le attuali performance dei chip in tal senso sono migliorabili e lo si sa da tempo, pur non avendo ancora trovato il modo per innovarli. Il materiale della Ajinomoto, di fatto, è un sottoprodotto del glutammato monosodico scoperto dall’azienda mentre si occupava di condimenti alimentari.
È un isolante, ma si può trovare di meglio, perché questo si può sfruttare in uno solo degli spazi “infra-strato” del chip che nel complesso non è però stato ottimizzato. La mancanza di “coordinazione” tra strati disturba, soprattutto quando i dati viaggiano su distanze non brevi: nei chip si crea una sorta di collo di bottiglia che impatta sulle performance. Aumenta lo spreco di energia e rallenta la velocità di calcolo: tutto ciò che non dovrebbe accadere quando ci si appresta ad attuare un massiccio lavoro di training AI.
Sfide tecniche e sfide di mercato: più semplici le prime
Di fronte a questo orizzonte poco roseo, le promesse di Thintronics fanno sperare che esista una prospettiva nuova a cui guardare. La startup starebbe infatti lavorando a isolanti diversi e dedicati a tutti gli strati dei chip, sfruttando le linee di produzione già esistenti.
Questi nuovi materiali per ora “misteriosi” sono stati sottoposti a una serie di test di efficacia e sembra che gli operatori coinvolti in questa fase siamo piuttosto soddisfatti. Sarebbe una vittoria, per questo Davide statunitense che sfida il Golia nipponico, ma non definitiva: lo aspettano ancora altre sfide da affrontare.
Dal punto di vista tecnico, sarà importante comprendere come adeguarsi agli standard di produzione a cui sono sottoposti i chip. Per esempio, gli isolanti impiegati in questo campo devono essere compatibili con la presenza di piccoli fori per far passare i fili che percorrono verticalmente la pellicola. Devono anche dimostrarsi semplici da realizzare in una linea di produzione ad alto volume, cosa tutt’altro che ovvia e che già in passato ha fatto naufragare altri “avventurieri” nel campo dei chip. Chiunque “osi” innovare, come Thintronics, deve anche ben sapere quanto il settore segua logiche conservazioniste: operatori e progettisti di chip collaborano da anni e non sarà banale spingere i secondi a “tradire” i primi. Spesso è il più dolente, e invece l’aspetto finanziario stavolta è quello che meno preoccupa. Per lo meno in questo preciso caso in cui, complice forse la forte consapevolezza del problema “energetico” dei chip, è già stato annunciato un finanziamento di serie A da 20 milioni di dollari. Gli si deve sommare la sovvenzione della National Science Foundation statunitense e i dollari potenzialmente ottenuti grazie al CHIPS Act USA.
May 8, 2024 at 03:27PM