Il lavoro degli albanesi nell’agroalimentare italiano? “È fondamentale, senza immigrati non ci sarebbe il Made in Italy di … – AlbaniaNews.it
https://ift.tt/mcldUwP
È stato presentato al CNEL, in presenza di rappresentanti del governo e del parlamento, ricercatori, sindacalisti, il volume “Made in Immigritaly. Terre, colture, culture”, primo Rapporto sui lavoratori immigrati nell’agroalimentare italiano. Commissionata dalla FAI-CISL, la ricerca è stata realizzata dal Centro Studi “Confronti” ed è curata da Maurizio Ambrosini, Rando Devole, Paolo Naso, Claudio Paravati.
Edito da Agrilavoro e Com Nuovi Tempi, il volume “Made in Immigritaly. Terre, colture, culture” esamina in oltre 500 pagine i modi in cui il lavoro immigrato viene gestito in contesti specifici e analizza i diversi profili del fenomeno, inclusi i meccanismi virtuosi di cooperazione e integrazione locale che si stanno realizzando sui luoghi di lavoro.
Sono stati raccolti dati, analisi e proposte e approfonditi anche nove casi studio territoriali: l’area di Saluzzo e la frutticoltura, la pianura della bassa bergamasca, specializzata nella produzione lattiero-casearia, la Val di Non, con la produzione delle mele, la produzione di asparagi tra bassa padovana e Polesine e l’area vitivinicola della Valpolicella, l’area modenese per la lavorazione delle carni e quella romagnola in particolare la produzione avicola, Castel Volturno, il foggiano con la raccolta del pomodoro e, infine, la “fascia trasformata del ragusano” e le coltivazioni in serra. Dal volume emerge che non c’è filiera del Made in Italy agroalimentare in cui il lavoro degli immigrati non assuma un ruolo rilevante.
Ne abbiamo parlato con Onofrio Rota, Segretario Generale della FAI-CISL, l’organizzazione dei lavoratori che ha promosso la ricerca.
Quanto è importante il lavoro degli immigrati nell’agroalimentare italiano?
Molto, assai di più di quanto sia percepito in generale nell’opinione pubblica. È un lavoro ormai strutturale, insostituibile. La ricerca che abbiamo commissionato dimostra che senza immigrati non avremmo quel Made in Italy agroalimentare di cui tutti parlano e che tutti ammirano nel mondo. In questo senso la ricerca ha rovesciato una narrazione dominante: quella che vorrebbe ridurre il fenomeno migratorio a costante emergenza sociale. I dati, le analisi e le storie raccolte restituiscono uno spaccato di vita quotidiana di quei lavoratori e lavoratici di origine straniera che ogni giorno contribuiscono alla crescita del nostro Pil, con un agroalimentare italiano che nel 2023 ha superato 600 miliardi di fatturato e 64 miliardi di export.
Qualche dato rilevante?
Gli immigrati che lavorano regolarmente in Italia sono 2,4 milioni circa, più del 10% degli occupati. In agricoltura, però, il loro contributo è più rilevante di questo valore medio: gli stranieri occupati nel settore sono quasi 362.000, e coprono il 31,7% delle giornate di lavoro registrate. Già questi numeri danno un’indicazione orientativa importante sul contributo dei lavoratori immigrati all’agroindustria italiana e dei problemi di tutela che devono fronteggiare.
Quanti albanesi lavorano nel settore?
L’immigrazione albanese ha avuto e continua ad avere un ruolo di primo piano nei comparti agroalimentari. Le principali provenienze nazionali registrate in agricoltura nei dati istituzionali sono tuttora, nell’ordine: Romania, Marocco, India, Albania e Senegal. Quindi gli albanesi, con 35.474 lavoratori, occupano il quarto posto, ma c’è poca differenza con il secondo e il terzo posto. I lavoratori rumeni diminuiscono: da quasi 120.000 nel 2016 a 78.000 nel 2022. Mentre marocchini, indiani e albanesi crescono di qualche migliaio di unità: rispettivamente +7.009, +7.421 e +5.902. Sostanzialmente stabili i tunisini, in termini relativi risulta più marcata la crescita dei senegalesi, che sono quasi raddoppiati, e molto sostenuta quella dei nigeriani.
Ricordo che in agricoltura, nel 2002 lavoravano poco più di 15 mila albanesi, mentre nel 2021 le presenze censite erano 34.446, più del doppio. Una presenza in crescita tra le provenienze più numerose. Senza contare i lavoratori dell’industria alimentare, come ad esempio nella macellazione, nella lavorazione e conservazione di carne e di prodotti a base di carne, nella lavorazione e conservazione di frutta e ortaggi, nella fabbricazione di prodotti di panetteria e di pasticceria, ecc. Sono le aziende piccole e medie ad assumere maggiormente gli immigrati.
Che problemi riscontrano gli immigrati in agricoltura?
Noi rappresentiamo il settore agroalimentare e in questi ultimi anni abbiamo visto una fortissima partecipazione attiva dell’immigrazione, in maniera particolare nell’agricoltura in cui oggi gli immigrati sono un terzo della forza lavoro. In diverse filiere e in tanti territori abbiamo dimostrato che con la nostra azione sindacale, la buona contrattazione e la bilateralità, si può conquistare maggiore rispetto per le persone. Va riconosciuta la dignità di ciascuno, bisogna dare alle persone l’opportunità di lavorare in sicurezza e avere un reddito adeguato. C’è però anche una presenza importante di lavoro irregolare, mal pagato, ci sono fenomeni di sfruttamento e caporalato che spesso coinvolgono più gli immigrati perché maggiormente vulnerabili e ricattabili. In questo ambito il nostro ruolo è essenziale per invertire la rotta. Ecco perché siamo molto impegnati, in tutti i luoghi di lavoro, anche per informare i lavoratori dei loro diritti e doveri. Come dimostra questa ricerca, il nostro impegno è dimostrare che il lavoro immigrato è una grande risorsa e in quanto tale va tutelato e valorizzato.
La vostra Federazione segue da anni anche la questione dell’accordo previdenziale tra l’Italia e l’Albania. A che punto siamo?
È una battaglia che sosteniamo da sempre. Ce lo chiedevano anzitutto i lavoratori albanesi, nostri iscritti, ed è una questione di principio perché dopo una vita di sacrifici non possiamo accettare che non si vedano riconosciuti i contributi accumulati nei due Paesi. La convenzione siglata tra Italia e Albania in materia previdenziale colma un vuoto legislativo che da tempo denunciamo come ingiustizia sociale: quella firma, per noi segna una conquista importante, per vedere riconosciuto il diritto fondamentale alla pensione per i tanti lavoratori e lavoratrici albanesi che da anni contribuiscono alla crescita del nostro Paese. È stato un lungo e complesso percorso amministrativo e politico, per nulla scontato. Dobbiamo apprezzare, a nome dei lavoratori interessati, non solo il Ministro Tajani, firmatario dell’accordo, e le istituzioni albanesi, ma anche tutti i parlamentari e componenti dei governi precedenti, come il Sen. Tommaso Nannicini, così come l’impegno di Anila Bitri, Ambasciatore dell’Albania in Italia, che hanno saputo ascoltare le nostre istanze e avviare il lungo iter coinvolgendo tutte le istituzioni competenti. So che in Albania l’accordo è stato appena ratificato in Parlamento. Ora dobbiamo proseguire il percorso con determinazione per giungere prima possibile alla ratifica da parte del Parlamento italiano e alla conclusione dell’intesa bilaterale che renda operativo l’accordo stesso. Il nostro appoggio non mancherà nemmeno in questa ultima fase.
May 22, 2024 at 05:12PM