Nomi dei fondi e termini ESG, cosa cambia per l’industria – FundsPeople

Nomi dei fondi e termini ESG, cosa cambia per l’industria – FundsPeople

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Il 14 maggio ESMA ha pubblicato il final report con le linee guida sui nomi dei fondi “ESG”. Obiettivo? Proteggere il cliente finale dal greenwashing, ma potrebbero esserci impatti sulla comunicazione e sulla specializzazione ESG degli stessi asset manager.

Il tema della “riconoscibilità” dei fondi sostenibili è centrale per l’industria finanziaria (e della finanza ESG nello specifico). Per definire in maniera fattuale in quali casi un prodotto può utilizzare questo riferimento, lo scorso 14 maggio ESMA ha pubblicato il final report che impone un “minimo dell’80% di asset sostenibili” perché un prodotto possa avere il termine “ESG” nel nome.

In questo modo, la Consob europea si pone “l’obiettivo di proteggere gli investitori dall’uso fuorviante della terminologia legata al mondo ESG e limitare, quanto più possibile, i fenomeni di greenwashing”, spiega a FundsPeople Lorenzo Macchia salary partner dello Studio Zitiello Associati. L’esperto rimanda al documento posto in consultazione a novembre del 2022, individuando una serie di novità nel documento finale “tra cui l’eliminazione della soglia del 50% per gli investimenti sostenibili o la separazione dei termini ‘social’, ‘governance’, ‘environmental’”.

Evitare il greenwashing

Per quanti operano nel mondo del risparmio gestito, il documento di ESMA si inserisce in una serie di dinamiche evidenti e avviate da tempo in Europa dove, negli ultimi anni a fronte della crescente domanda da parte degli investitori per prodotti attenti alla sostenibilità, “si è osservata una significativa crescita di fondi che richiamano termini ambientali, sociali e/o di governance nella propria denominazione”, afferma Federica Calvetti, ESG coordinator Eurizon richiamando, a tal proposito, un report della stessa ESMA, rilasciato a ottobre dello scorso anno in cui si evidenzia “che si è passati da circa il 4% di incidenza negli anni 2018-2019, a circa il 14% nel primo semestre 2023”. L’esperta rimarca, dunque, come le linee guida siano state pensate “con lo scopo di promuovere una maggiore chiarezza, trasparenza e protezione degli investitori, in particolare della clientela retail per cui, secondo l’ESMA, i nomi dei fondi risultano essere particolarmente importanti per le decisioni di investimento”. Nello specifico, lo scopo è “assicurare che i nomi utilizzati dai fondi riflettano in modo accurato la natura e l’obiettivo degli stessi, contribuendo quindi a evitare anche il rischio di greenwashing: l’utilizzo del termine ‘sostenibile’ nei nomi dei fondi risulta essere particolarmente impegnativo, considerata la definizione di investimento sostenibile contenuta nella SFDR per i fondi ai sensi degli articoli 8 o 9”.

Cosa cambia per i gestori

 L’impatto del final report sugli operatori del mercato può avere, a detta di Calvetti, risvolti molteplici. “Innanzitutto, si auspica che la maggiore chiarezza trasmessa attraverso il nome possa portare a una migliore comprensione da parte degli investitori degli aspetti di sostenibilità dei fondi offerti sul mercato; inoltre, potremmo osservare una maggiore specializzazione da parte dei gestori dei fondi nei confronti delle tematiche di sostenibilità al fine di distinguersi meglio:  per questo, le linee guida dell’ESMA potrebbero anche influenzare la strategia di marketing e di comunicazione dei gestori di fondi”.

L’esperta ricorda come un punto importante delle nuove linee guida sia quello relativo alle esclusioni associate ai benchmark Climate Transition (CTB) o Paris Aligned (PAB). “In particolare – commenta –, laddove vi sia un focus ambientale, le previsioni PAB impongono delle restrizioni importanti nei confronti degli emittenti che generano ricavi dal settore dei combustibili fossili: per questo, ci attendiamo che i fondi che investono nel settore delle utilities e dell’energy con lo scopo di favorire la transizione esprimano più esplicitamente questa strategia nella propria denominazione”.

Il tema delle esclusioni

Nel dettaglio della normativa, infatti, oltre a stabilire una soglia minima (80%) di investimento sostenibili o con caratteristiche ambientali o sociali per gli OICR che intendono utilizzare termini legati alla ‘transizione’, al ‘sociale’ e alla ‘governance’, l’ESMA raccomanda di “escludere investimenti in società coinvolte in attività riguardanti armi controverse, società attive nella coltivazione e produzione nel tabacco e nelle società indicate all’art. 12, comma 1, lett. c) del Regolamento Delegato 1818/2020”, specifica Macchia che rimanda all’integrazione del cosiddetto Regolamento Benchmark in merito alle esclusioni obbligatorie previste PAB. L’esperto sottolinea poi come per i fondi che intendono utilizzare termini come ‘ambiente’ o ‘impatto’ le raccomandazioni di ESMA si riferiscono anche alla necessità di “escludere investimenti in società coinvolte in attività riguardanti armi controverse, società attive nella coltivazione e produzione nel tabacco, e altre tipologie di società come ad esempio quelle che ottengono determinati ricavi dalla lavorazione del carbon fossile, oli combustibili, gas combustili, tutte indicate all’art. 12, comma 1, lettere da a) a g) del Regolamento Delegato 1818/2020”. Infine, vincoli più stringenti sono previsti per gli OICR che utilizzano termini legati alla ‘sostenibilità’. In questo caso prosegue Macchia, richiamando quanto già indicato da Calvetti, “l’ESMA raccomanda ai fondi di rispettare i limiti positivi e negativi sopra visti e di impegnarsi a investire in modo significativo negli investimenti sostenibili, così come definiti dall’art. 2 (17) SFDR (che specifica, appunto, cosa si intende per investimento sostenibile, ndr.)”.

La speranza, afferma in conclusione, “è che le linee guida ESMA siano uno strumento di ausilio rivolto ai gestori per individuare, in mancanza di fonti certe, i requisiti minimi che devono avere i fondi comuni di investimento per essere qualificati come prodotti ESG ai sensi dell’art. 8 o 9 di SFDR”.

May 29, 2024 at 07:51AM

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