Il cambiamento climatico in Mozambico è oramai la quotidianità – OGGI

Il cambiamento climatico in Mozambico è oramai la quotidianità – OGGI

https://ift.tt/Vtu6RJD

Il Mozambico è tra le nazioni al mondo a più alto rischio di catastrofi: gli uragani si moltiplicano, le tempeste sollevano onde sempre più alte. C’è modo di adattarsi ai cambiamenti climatici? L’Ong WeWorld prova ad aiutare la popolazione. Anche difendendo le mangrovie

Saltellando tra pantani, e aggirando gigantesche pozze d’acqua, gli alunni della scuola primaria di Liquevela sono finalmente tornati tra i banchi. In classi da 40 e con due turni al giorno, il primo dei quali all’alba, perché le piogge torrenziali di marzo hanno devastato molte aule – video

I DANNI DI FILIPO – «Abbiamo dovuto chiudere perché Filipo ha reso impraticabili le strade, tutta l’area è rimasta allagata per settimane», spiega Hortensia Gegereia, la direttrice: «E pensare che una volta qui non pioveva molto». Filipo è la tempesta tropicale che tra lo scorso 23 e 24 marzo ha scaricato su Matola – città satellite alle porte di Maputo, la capitale del Mozambico – 300 millimetri di pioggia, cioè 300 litri d’acqua per metro quadro. Il risultato? Nove morti e sette feriti, quasi 300 edifici distrutti (tra cui 61 scuole), più di 20 mila abitazioni sommerse e 136 chilometri quadrati di campi coltivati andati in malora. Solo nella provincia di Maputo. Danni tutto sommato modesti, a confronto di quelli causati da Freddy, Kenneth e Idai, i tre cicloni tropicali più violenti dei nove che dal 2019 si sono abbattuti sul Mozambico, distruggendo quasi un milione di fabbricati, ospedali e presidi sanitari inclusi, e uccidendo più di 900 persone. «Ma alle morti dirette bisogna aggiungere quelle indirette, dovute a infezioni come colera, diarrea e malaria», avverte Sergio Chilaule, ingegnere dell’Istituto di ricerche sull’acqua di Maputo: «Il nesso tra le inondazioni, il peggioramento della qualità dell’acqua, la diffusione di insetti vettori di malattie e la salute, è ormai provato». Perché con le piogge, latrine e fogne a cielo aperto tracimano, contaminando pozzi e bacini; e si moltiplicano le zanzare.

Il Nobel Giorgio Parisi: “Sul clima la situazione è molto pericolosa. Serve più scienza” – guarda

LE PIOGGIE SI AGGIUNGONO ALLA GUERRA – E così un’emergenza tira l’altra, e alla guerra — l’estremo Nord del paese è dilaniato dal 2017 da un conflitto armato con gruppi di jihadisti che ha già fatto oltre 5 mila vittime—si sommano epidemie e carestie. Non a caso il Mozambico è tra le dieci nazioni al mondo a più alto rischio di catastrofi, per l’esposizione agli eventi estremi, inadeguatezza delle infrastrutture e povertà. Con disastri che, a ogni stagione delle piogge, coinvolgono fino a un 1,5 milioni di persone. «L’80% della popolazione dipende dall’agricoltura, ma le piogge arrivano sempre più tardi e sono concentrate nei tre mesi dell’anno colpiti ormai con regolarità dai cicloni», spiega Paulo Artur, di WeWorld. WeWorld è un’ong italiana, dal 2000 in Mozambico, che nella baia di Maputo gestisce diversi progetti di formazione e conservazione ambientale, e Artur ne è il coordinatore. L’obiettivo? Migliorare risposta e capacità di adattamento della popolazione ai cambiamenti climatici, e promuovere un uso sostenibile delle risorse naturali. A Matola come a Inhaca, isolotto a tre ore di nave da Maputo, dove siccità, alluvioni e riscaldamento oceanico hanno messo in crisi tutte le fonti di sussistenza degli abitanti: agricoltura, turismo, pesca.

Greta Thunberg, come salvare il pianeta secondo me (e i maggiori scienziati) – guarda

OSSERVATORIO IDEALE – Inhaca è un osservatorio perfetto per studiare la spirale di disastri che la crisi climatica riesce a scatenare. Perché il calore accumulato dall’oceano ha alterato anche qui il regime delle precipitazioni, e di conseguenza piove meno frequentemente ma in misura più abbondante. E l’energia ceduta all’atmosfera (il calore è energia) rende i temporali più violenti. Inoltre, un mare più caldo sale di livello anche più rapidamente per effetto dell’espansione termica, così che le tempeste che dall’Oceano Indiano investono le coste del Mozambico con venti anche a oltre 200 chilometri orari sono in grado di sollevare onde alte quasi sette metri. La conseguenza sono siccità e nubifragi, allagamenti e mareggiate: tutti fenomeni ben visibili su questa piccola isola. Insieme all’erosione dei litorali e al cedimento dei resort sulle spiagge, alla moria della vegetazione causata dall’intrusione di acqua salata nelle falde, e alla perdita di biodiversità marina per via del riscaldamento dell’oceano. «Con l’Università La Sapienza di Roma abbiamo un progetto ad Inhaca per il ripristino degli ecosistemi forestali degradati, in particolare le mangrovie, che hanno un ruolo fondamentale per la stabilizzazione delle zone costiere, la difesa dalle maree e il sequestro dell’anidride carbonica nell’atmosfera », continua Artur. Ma occorre farlo capire ai locali, che abbattono le mangrovie per farne legna da ardere; e per questo serve tanta formazione.

Crociera nella tempesta, il video da 28 milioni di clic – guarda

EDUCAZIONE AMBIENTALE – Corsi di educazione ambientale, gestione dei disastri naturali, acquacoltura e apicoltura, anche imprenditoria femminile: sono alcune delle attività promosse da WeWorld, che in Mozambico gestisce attualmente nove progetti con oltre mezzo milione di beneficiari diretti. Tra le iniziative, un seminario di tre giorni sulla comunicazione dei cambiamenti climatici, rivolto a giornalisti e influencer. In un Paese con più di 20 milioni di persone al di sotto della soglia di povertà, e un tasso di analfabetismo del 39%, parlare di clima è semplice e complesso al tempo stesso, perché i problemi sono tanti e si alimentano a vicenda. Come appare evidente a Pemba, città della provincia di Cabo Delgado, con i tagliagole dell’Isis sempre più vicini, e centinaia di migliaia di sfollati sistemati in campi profughi dalle condizioni igieniche precarie, e senza acqua potabile. «Nel barrio di Paquitequete 22mila persone vivono ammassate in capanne di fango erette sulla spiaggia», racconta Jubaido Nhabique, l’agronomo che fa da referente locale di WeWorld: «Basta una pioggia più forte per causare crolli, e l’affollamento è tale che non ci sono vie di fuga». E così ad ogni nuova perturbazione, il disastro è assicurato.

Tempesta di ghiaccio sui campi del Mondiale in Brasile: sembra l’Apocalisse – guarda

Sandro Orlando

Oggi ©RIPRODUZIONE RISERVATA

June 2, 2024 at 08:25AM

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *