Perché i deadstock sono sempre più centrali nella moda – Nonsoloambiente
https://ift.tt/xP9X2Ug
Ci sono molti modi per combattere
il fast fashion: uno di questi sono
i deadstock.
Una dimensione tra riuso e upcycling
che, nella moda, sta aprendo da
qualche tempo a nuovi e interessanti spiragli.
Cosa sono i deadstocks?
In sostanza, avanzi di magazzino. Non rimanenze
dovute alle cattive condizioni dei tessuti
o alla presenza di difetti. Anzi, molto spesso si tratta di tessuti in ottime condizioni che, però,
si sono rivelati incongruenti con l’attesa del committente. Una sfumatura di colore, una stampa o una fantasia lievemente
diversa, una produzione sovrabbondante che rimane invenduta… Le cause
all’origine di questi scampoli sono
molteplici.
Come cambia il mondo della moda
La scorsa estate il portale Earth.org ha stilato un decalogo sui trend di moda nocivi alla salute del
pianeta. Tra questi, la produzione incontrollata
di abiti secondo le regole del sistema fast
fashion. Un sistema che non fa che produrre rifiuti: sia di abiti
confezionati, sia dei tessuti con
cui sono prodotti. Ogni anno, si
stima vengano prodotti 100 miliardi di capi. Di questi, 92
milioni di tonnellate si trasformano in rifiuti. Una mole che già spaventa così, basti pensare alle
disastrose conseguenze in atto in paesi come il Ghana.
Fast fashion, fast waste
Ma per avere un quadro ancora più
completo e allarmante, è necessario volgere lo sguardo ai futuri sviluppi di
questa cattiva abitudine. Negli ultimi 15
anni, il numero di volte in cui un capo
viene indossato prima di essere buttato si è ridotto del 36%. E a questo enorme volume in
costante aumento ogni giorno di rifiuti
tessili globale, si aggiungono i deadstock. Il problema che ne deriva è anche di natura economica: approssimativamente, questi tessuti inutilizzati comportano una perdita di 120 miliardi di
dollari.
Un’attenzione crescente
Dunque, l’imperativo è cambiare
prospettiva e vedere i deadstock come una risorsa. E
sembrano esserci tutti gli elementi per farlo. Elementi inizialmente emersi
durante la pandemia, quando
difficoltà di approvvigionamento e aziende fornitrici collocate in posti
lontani rispetto ai luoghi di trasformazione erano un discrimine importante.
Anche per questi motivi, infatti, la produzione
tessile appariva un’attività fortemente compromessa, mettendo a dura prova
soprattutto la sopravvivenza delle piccole
aziende.
Le regole che servono ai
deadstock
I presupposti sono buoni, anzi,
ottimi. Tuttavia, è arrivato il momento di definire dei range per permettere a designer
emergenti e piccole aziende di
lavorare in serenità. A partire da una definizione
chiara, ad esempio: quanto deve passare un tessuto in magazzino
prima di essere definito deadstock? Inoltre, immettere questi
tessuti in un sistema circolare è apprezzabile, ma che ne è del loro livello di sostenibilità? L’utilizzo di questi scarti di magazzino non deve generare
equivoci: essi non comportano una sorta di eco-compatibilità
di default. Anche i processi e le sostanze legati alla trasformazione
e alla commercializzazione dei deadstock
dovrebbero essere passibili di verifica.
In altre parole: bene unire un vantaggio
economico a uno ambientale
utilizzando i tessuti invenduti, ma
a questa scelta deve accompagnarsi una reale consapevolezza di sostenibilità
da parte delle aziende. Su sostanze
chimiche, finissage e modalità di distribuzione,
ad esempio.
Gli aspetti legislativi
È
necessario interrogarsi su ogni aspetto di questa tematica per far sì che sia a
tutti gli effetti una risorsa, senza ombre di sorta. In questo periodo le istituzioni europee iniziano a prendere
posizioni sempre più nette su tematiche come greenwashing e obsolescenza,
anche nel settore moda. Così come,
anche i governi nazionali si stanno
interfacciando in modo sempre più concreto con queste tematiche. Basti pensare
al percorso che la Francia sta compiendo per sanzionare e
disincentivare il fast fashion. O
anche all’Italia e al decreto per i rifiuti tessili
in fieri. E bisognerebbe ascrivere
anche i deadstock a questa serie di provvedimenti per far sì che quella
che lega moda e sostenibilità sia percepita come una vera e propria tematica
organica e coesa.
Immagine di copertina: Annie
Spratt, Unsplash
June 12, 2024 at 08:52PM