Appello degli scienziati: “Ratificare entro un anno il Trattato che può salvare i mari” (di F. De Augustinis) – L’HuffPost

Appello degli scienziati: “Ratificare entro un anno il Trattato che può salvare i mari” (di F. De Augustinis) – L’HuffPost

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I Paesi delle Nazioni Unite devono affrettarsi a ratificare il Trattato per la protezione degli oceani (High Seas Treaty) per creare una rete di aree protette e un sistema di normative che possano tutelare il mare da minacce come la pesca eccessiva e i cambiamenti climatici, e evitare “perdite catastrofiche delle popolazioni marine a causa di malattie, ondate di calore e altri eventi”. A scriverlo è uno studio pubblicato su Nature, che ha ribadito l’urgenza di rendere operativo il trattato per la tutela degli Oceani ed entrerà in vigore con la ratifica di 60 dei 193 Paesi che siedono al tavolo delle Nazioni Unite.

“Dobbiamo pensare a due linee temporali contemporaneamente: come vivono oggi le specie in alto mare e come potrebbero vivere tra decenni con il peggioramento del cambiamento climatico,” ha detto Lee Hannah, biologo dei cambiamenti climatici presso il Moore Center for Science e principale autore dell’articolo su Nature. "Questo naturalmente è reso ancor più complicato dal fatto che nessun Paese è responsabile delle attività in alto mare, si tratta di fare uno sforzo di gruppo globale”. 

Il trattato per la protezione degli oceani è un accordo storico raggiunto in sede Onu nel maggio del 2023, dopo 21 anni di trattative, che mira a tutelare tutti i mari del Pianeta che non rientrano nella giurisdizione delle acque territoriali dei singoli Paesi. Questa superficie riguarda i due terzi di tutti gli oceani (il 95%, in termini di volume), ma oggi è alla mercé delle attività umane come la pesca, con solo l’1% sotto tutela. 

L’accordo mira a portare la protezione delle acque internazionali al 30% della superficie entro il 2030 ed è stato firmato da 90 Paesi, ma solo in 7  (Belize, Cile, Mauritius, Micronesia, Monaco, Palau e Seychelles), ad oggi hanno ratificato il documento.

Lo studio pubblicato su Nature raccomanda che l’adozione del trattato si traduca in una rete di aree marine protette che tenga conto della situazione degli oceani, che sta evolvendo rapidamente per effetto dei cambiamenti climatici, impattando sulle rotte migratorie di numerose specie selvatiche. “Proteggere la biodiversità in alto mare di fronte ai cambiamenti climatici è una continua partita a scacchi,” ha detto Hannah.

Lo studio su Nature cita ad esempio il caso delle balene franche (Eubalaena), attualmente classificate come specie a rischio https://ift.tt/nDQMIT8, che hanno cambiato la propria rotta migratoria per effetto del cambio delle temperature del mare e della minore disponibilità di cibo, spostandosi verso nord. Questo fenomeno sta avendo ripercussioni, portando gli animali in aree più trafficate per attività di pesca o di trasporto, con conseguente aumento delle mortalità. 

“Tutto, dalle balene ai pesci, si sta muovendo per seguire gli effetti del riscaldamento delle acque,” ha detto Hannah. “Questo sconvolgimento degli oceani, dovuto in gran parte al cambiamento climatico, può essere affrontato dal trattato sugli oceani, motivo per cui la sua rapida ratifica è molto importante”. 

L’obiettivo dei Paesi e dei gruppi che lavorano all’implementazione del trattato per la protezione degli oceani è di raggiungere il traguardo dei 60 Paesi entro la prossima conferenza delle Nazioni Unite sugli Oceani, in programma a Nizza a giugno del 2025. 

Ad oggi la pesca eccessiva e l’aumento delle temperature sono considerate tra le principali minacce nelle acque internazionali, insieme a delle pratiche di sfruttamento delle risorse come l’estrazione mineraria dai fondali (deep sea mining) considerata estremamente distruttiva. Una volta entrato in vigore, il trattato dovrebbe creare una rete di santuari, dove l’attività di pesca sarà interdetta o strettamente limitata, e garantire che anche nelle acque internazionali ogni attività umana venga sottoposta a procedure di valutazione dell’impatto ambientale. 

“Il trattato per la protezione degli oceani è un’opportunità rara e preziosa per la specie umana per mitigare le crisi e proteggere la biodiversità,” ha detto Rebecca Hubbard, direttore della High Seas Alliance, una rete di oltre 50 organizzazioni non governative che sostengono l’adozione del trattato. 

Ad aprile il Parlamento europeo, tra gli ultimi atti del proprio mandato, ha votato con una forte maggioranza a favore della ratifica del trattato, invitando i Paesi membri a fare altrettanto in tempi rapidi. A seconda dei vari contesti normativi, la ratifica del trattato deve seguire iter più o meno lunghi, presupponendo in alcuni casi – tra cui l’Italia – anche il voto parlamentare.

“Nel nostro Paese questa ratifica deve passare attraverso atti che hanno tempi politici mai velocissimi,” ha detto a HuffPost Giuseppe Ungherese, responsabile della campagna Inquinamento di Greenpeace Italia. Secondo Ungherese, i rappresentanti italiani in ogni sede internazionale hanno comunque manifestato una chiara volontà di ratificare l’accordo quanto prima: “Il nostro appello è di fare in modo che gli Stati accelerino, inclusa l’Italia," ha detto Ungherese. “Prima si fa, e prima si crea un positivo effetto domino su scala mondiale.” 

Il trattato, una volta ratificato, potrebbe avere ricadute indirette anche nelle politiche di gestione del Mediterraneo. Sebbene il mare nostrum ricada in larghissima parte sotto la giurisdizione territoriale dei vari Paesi che vi si affacciano, l’approvazione del trattato sugli oceani sancirebbe il principio di dover proteggere almeno il 30% dei mari, in termini di superfici, a fronte di una situazione attuale in cui in Italia solo l’1% delle acque territoriali ricade sotto un sistema di stretta tutela.

June 19, 2024 at 11:30AM

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