Crisi climatica, prima causa di sfollamento al mondo: i dati preoccupanti – Elle

Crisi climatica, prima causa di sfollamento al mondo: i dati preoccupanti – Elle

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Nel 2022, sono stati registrati quasi 61 milioni di nuovi sfollati interni. A dirlo è un nuovo rapporto dell’Internal Displacement Monitoring Centre (IDMC), che sottolinea come ci sia stato un aumento del 60% rispetto all’anno precedente. Due anni fa, infatti, i disastri ambientali, tra cui le inondazioni in Pakistan (che è anche fisso nella top ten della classifica de paesi più pericolosi al mondo, in particolare se sei donna) e il tifone Noru nelle Filippine, hanno portato a 32,6 milioni di sfollati interni, il numero più alto mai registrato. Un numero destinato ad aumentare, dal momento che la frequenza, la durata e l’intensità dei pericoli connessi al cambiamento climatico peggioreranno. La crisi climatica sta già portando via vite e mezzi di sussistenza in tutto il mondo e il rapporto del Panel on Climate Change dello scorso luglio ha ribadito che gli effetti futuri saranno persino peggiori di quanto si pensasse: "Molti rischi legati al clima sono più alti di quanto precedentemente valutato. Le emissioni continue influenzeranno ulteriormente tutti i principali componenti del sistema climatico e molti cambiamenti saranno irreversibili su scale temporali che vanno dal centenario fino al millennio”, hanno scritto gli scienziati. L’obiettivo di 1,5°C sembra praticamente fuori portata, afferma l’IPCC: "Nel breve termine, è più probabile che il riscaldamento globale raggiunga 1,5°C anche in uno scenario di emissioni molto basse". Sarà quindi necessario un enorme aumento del lavoro messo in campo per proteggere le persone. Ad esempio, "eventi estremi a livello del mare" (come inondazioni, tsunami ecc.) previsti oggi una volta al secolo, colpiranno almeno una volta all’anno entro il 2100 in circa la metà delle località monitorate". La Banca Mondiale ha previsto che fino a 216 milioni di persone potrebbero diventare migranti climatici interni entro il 2050, se non verranno adottate misure efficaci. Questa cifra rappresenta il numero più elevato mai riportato, e mostra il volume non solo dei nuovi spostamenti, ma anche di quelli ripetuti.

Foto di Matt Palmer su Unsplash

Ma chi sono e come sono tutelati i migranti climatici? Per migranti climatici o rifugiati ambientali si intende chi è costretto a spostarsi in seguito a eventi climatici estremi; se gli spostamenti sono all’interno dei confini nazionali si parla di migranti o rifugiati interni, ma ci sono anche i cosiddetti migranti o rifugiati immobili, che non riescono a spostarsi davvero e allora trovano rifugio e ospitalità nelle zone limitrofe, ad esempio in case costruite ad hoc, come quelle per i terremotati, restando quindi nelle vicinanze del luogo in cui si è verificato l’evento. La migrazione immobile è in stretta relazione con la capacità di resilienza agli eventi e può variare in base alle capacità socioeconomiche delle persone; se c’è carenza di mezzi ci sarà anche impossibilità di muoversi. C’è un pezzo enorme di popolazione mondiale, dunque, intrappolata e un’altra porzione altrettanto grande che è in fuga. In fuga dalle guerre e allo stesso tempo in fuga da luoghi dove il cambiamento climatico causa catastrofi: inondazioni, siccità, eruzioni vulcaniche, incendi. C’è un’onda di persone che scappano, e lo fanno come possono, per lo più a piedi, perché vivono in condizioni di estrema povertà, in zone del mondo lacerate dalle guerre ma, dicevamo, anche dalla violenza dei disastri naturali. Scappano famiglie con bambini e neonati, trascinandosi appresso poche cose, soprattutto abiti caldi, dovesse calare il freddo che colpisce, per esempio, la Siria. Sono 6,7 milioni quelli sfollati in Siria, 5,2 milioni di rifugiati siriani si trovano in Libano, Turchia, Giordania, Iraq ed Egitto (paese che ospita anche 310 mila rifugiati sudanesi arrivati di recente). Il freddo intenso in gran parte del Medio Oriente, combinato con frequenti tempeste invernali, crea condizioni molto pericolose per la sopravvivenza. Inoltre, in Siria il terremoto dello scorso febbraio, che ha colpito anche la Turchia, ha causato la distruzione di rifugi e dei mezzi di sussistenza della popolazione sfollata a causa del conflitto, aggravando ulteriormente le loro difficoltà.

Attualmente le aree più colpite dal cambiamento climatico e dal conseguente movimento migratorio sono, nel mondo, l’Africa occidentale, centrale e meridionale, l’Asia meridionale, l’America centrale e orientale e i piccoli Stati insulari. Ma ci siamo anche noi, perché in Europa, invece, sulla red list risultano tra gli altri la Russia, la Spagna, la Germania, la Francia, ma anche il Regno Unito, la Polonia. E l’Italia che, oltre alla contingente siccità, deve fare i conti con le zone costiere soggette a inondazioni e con le superfici montane a rischio frane, risulta uno dei Paesi più a rischio dal punto di vista ambientale. In base alle stime dell’Internal Displacement Monitoring Centre (Idmc), solo nel 2022 si è assistito a oltre 32 milioni di nuovi sfollati a causa di disastri, il 98% dei quali legati ad eventi atmosferici come inondazioni, tempeste e siccità. Nell’ultimo decennio, dal 2013 al 2022, i rischi legati alle condizioni meteorologiche hanno provocato nei paesi più vulnerabili una media di 5,7 milioni di sfollati all’anno, oltre il 25% di tutti gli sfollamenti dovuti a catastrofi legate ad eventi meteorologici. Il numero più alto riguarderà l’Africa sub-sahariana: 86 milioni di persone, pari al 4,2% della popolazione totale; 49 milioni in Asia orientale e nell’area del Pacifico, 40 milioni in Asia meridionale. In Africa settentrionale si prevede che ci sarà la più alta percentuale di migranti climatici, 19 milioni di persone, pari al 9% della sua popolazione, a causa principalmente della riduzione delle risorse idriche.

Foto di Agustín Lautaro su Unsplash

Ma la questione non è drammatica solo nella sua contingenza. Il grande problema a livello internazionale è che la figura del migrante o rifugiato ambientale non è equiparata a quella del rifugiato politico: solo chi si sposta a causa di una guerra, che magari ha causato sul territorio carestia e povertà, è riconosciuto a livello internazionale dalla Convenzione di Ginevra per i rifugiati e può ricevere aiuto economico nel Paese ospitante. "Sicuramente manca una regolamentazione a livello internazionale, anche se a luglio 2022 l’Onu ha dato un primo input stabilendo un rapporto diretto tra i diritti umani e i diritti ambientali per i rifugiati ambientali che richiedevano asilo, anche se questo aspetto non è stato ancora recepito dall’Unione Europea. Solo la Svezia ha stanziato fondi pubblici per accogliere i rifugiati climatici e promuovere start up", spiega Angelica De Vito, da tre anni consulente diplomatica presso l’Assemblea generale delle Nazioni Unite in tema di rifugiati climatici. "Stiamo assistendo – ha dichiarato il direttore generale dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni António Vitorino – a un numero di disastri su larga scala senza precedenti, che causano una significativa perdita di vite umane, distruzione di case di mezzi di sussistenza e che causano un aumento di movimenti migratori forzati. Rafforzare i nostri sforzi comuni per l’azione climatica e investire in canali di migrazione sicuri, regolari e ordinati è più importante che mai. Stabilire le necessità delle persone costrette a spostarsi a causa di conflitti, violenza e disastri è cruciale per garantire che l’assistenza umanitaria e i servizi essenziali possano raggiungere in modo tempestivo le persone che ne hanno maggiormente bisogno". Crisi senza precedenti e a più dimensioni stanno diventando la norma e l’impatto sulla mobilità umana è sempre più evidente. Crisi legate agli impatti climatici in corso, agli effetti persistenti della pandemia, all’instabilità economica, all’aumento dei prezzi alimentari e alle ripercussioni globali della guerra in Europa hanno portato a livelli di insicurezza alimentare senza precedenti in gran parte del mondo nel 2022. "Nonostante queste sfide insormontabili – spiega Vitorino- non si è ancora totalmente informati su come la comunità internazionale comprenda e affronti i movimenti migratori interni in contesti di conflitto e di disastro". Ma non è troppo tardi per agire. E a dirlo è l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati. "È vero che il clima sta già cambiando – si legge in un report approfondito che trovate qui – e che la temperatura media è oggi circa 1,1°C più calda rispetto alla fine del 1800. Ma non è troppo tardi per agire, né per ridurre le emissioni per ridurre al minimo l’ulteriore riscaldamento globale, né per investire in un adattamento che aumenti la resilienza delle popolazioni vulnerabili e riduca il rischio che le persone vengano sfollate o altrimenti colpite negativamente. Possiamo aiutare le persone a prepararsi meglio alle condizioni meteorologiche estreme e ad adattarsi ai cambiamenti climatici. Possiamo anche affrontare alcune delle altre cause profonde di sfollamento che sono amplificate dal cambiamento climatico, come la povertà, la disuguaglianza e la violenza". I rifugiati e gli sfollati interni sono tra coloro che agiscono per rafforzare la resilienza e adattarsi agli impatti dei cambiamenti climatici, ad esempio attraverso progetti di piantumazione di alberi , campagne di sensibilizzazione, sforzi di preparazione alle catastrofi e lotta agli incendi boschivi. Ma chiedono maggiore sostegno alle organizzazioni guidate dai rifugiati che stanno portando avanti tali interventi e un posto al tavolo per garantire che le decisioni su di loro non vengano prese senza di loro.

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