Il riscaldamento globale cresce ma non le politiche di contrasto al cambiamento climatico – Mentinfuga

Il riscaldamento globale cresce ma non le politiche di contrasto al cambiamento climatico – Mentinfuga

https://ift.tt/Dj8B3Ii

Lo scorso giugno un articolo pubblicato da The Washington Post spiegava come « i 18 milioni di abitanti dell’area metropolitana di Bangkok sono tra gli 111 milioni di persone che hanno sofferto almeno 60 giorni di caldo pericoloso nei primi cinque mesi di quest’anno, come mostra un’analisi del Post sui dati delle stazioni meteorologiche di oltre 14.000 città. Nel complesso, le città incluse nell’analisi ospitano poco meno della metà della popolazione mondiale, quindi il numero effettivo di persone esposte al caldo pericoloso è probabilmente molto più alto» [1]. La pericolosità e i rischi che si corrono dipendono dalla combinazione di temperature elevate e umidità perché quest’ultima «mina le nostre difese naturali contro il calore. Con più umidità nell’aria, la sudorazione non riesce a raffreddarci in modo efficace. Ciò rende più difficile regolare la nostra temperatura corporea, ed è la nostra temperatura corporea, […], che ci mette nei guai nelle giornate calde. “Al cuore non piace davvero riscaldarsi”, ha affermato Kristie Ebi, epidemiologa presso il Center for Health and the Global Environment dell’Università di Washington, aggiungendo che circa la metà di tutti i decessi correlati al calore sono causati da problemi cardiovascolari. I disturbi dovuti al calore possono anche causare spasmi muscolari, vertigini, vomito, mal di testa, confusione, svenimenti e perdita di coscienza» [2].
Non c’è bisogno di andare troppo lontano, basta soffermarsi ai disastri provocati dalla siccità in Sicilia dove in diverse aree di differenti provincie il razionamento dell’acqua è all’ordine del giorno.

Da poco sono stati diffusi e dati del Copernicus Climate Change Service (C3S) – implementato dal Centro europeo per le previsioni meteorologiche a medio termine per conto della Commissione europea – relativi al mese di giugno di quest’anno. Siamo di fronte all’ennesimo picco di temperature che porta questo mese a superare quello del 2023, già il più caldo di sempre. Inoltre è sottolineato il dato dei 12 mesi consecutivi in ​​cui le temperature mensili hanno raggiunto o superato quel limite di 1,5 gradi. Nel 2015 gli Accordi di  Parigi stabilirono che bisognava mantenere il riscaldamento tra 1,5 e 2 gradi Celsius rispetto ai livelli preindustriali. Accordi che Donald Trump, se dovesse essere rieletto, non intende rispettare. Ieri si è formalmente insediato al Parlamento europeo il gruppo con 83 deputati di estrema destra, Patrioti – nato su iniziativa del premier ungherese Viktor Orbán, del leader dell’Fpo austriaco Herbert Kickl e del ceco Andrej Babiš, alla guida di Ano  – e hanno ribadito la contrarietà e la necessità di combattere il modello del Green Deal europeo.
Il bollettino mostra che il avanza e questi sono alcuni punti salienti utilizzando un set sofisticato di analisi, ERA5:

  • Da quando sii registrano i dati giugno 2024 è stato più caldo a livello globale rispetto a qualsiasi giugno precedente con una temperatura media dell’aria in superficie di 16,66 °C, 0,67 °C in più rispetto alla media di giugno del periodo 1991-2020 e 0,14 °C in più rispetto al precedente massimo registrato a giugno 2023.
  • La temperatura media globale degli ultimi 12 mesi (luglio 2023 – giugno 2024) è la più alta mai registrata, con 0,76 °C in più rispetto alla media del periodo 1991-2020 e 1,64 °C in più rispetto alla media preindustriale del periodo 1850-1900.
  • La temperatura media europea di giugno 2024 è stata di 1,57 °C superiore alla media di giugno del periodo 1991-2020, rendendo il mese il secondo giugno più caldo mai registrato in Europa [3].

Per quanto nei prossimi mesi l’aumento della temperatura possa scendere sotto il limite di 1,5 gradi a causa della scomparsa del fenomeno naturale El Niño che aumenta la temperatura della superficie dell’acqua in aree del Pacifico, gli scienziati concordano sulla tendenza all’aumento.

Sono in tanti oltre a una parte dei politici a remare contro in varie maniere. Ricordo che a maggio scorso ReCommon presentava la sua ultima indagine sul comportamento delle maggiori banche dei Paesi del G7 dove si «mostra che le 29 maggiori banche dei Paesi del G7 sono complessivamente responsabili (dati a fine 2022) di più emissioni di gas serra di Italia, Germania, Francia e Regno Unito messi insieme. 2,7 miliardi di tonnellate di CO2 contro 2 miliardi. Si tratta delle “emissioni finanziate”, cioè associate ai settori e attività che le banche sostengono. Fra questi, i settori ad alta intensità di CO₂ (combustibili fossili, estrazione mineraria, agricoltura, utilities) la fanno da padroni con oltre la metà delle emissioni totali finanziate, nonostante rappresentino solo il 6% dei prestiti» [4].

In una lucida analisi Maurizio Franzini su EticaEconomia spiega delle politiche di contrasto al . Parte dal  «fallimento climatico» registrando innanzitutto un dato ufficiale evidenziato quest’anno alla   dove «è stato presentato il primo Global Stocktake, cioè il primo rapporto sullo stato di avanzamento delle politiche che dovrebbero garantire il raggiungimento di quell’obiettivo [1,5 gradi di aumento, ndr]. Da esso (ma non soltanto da esso) risulta che, malgrado qualche progresso, l’obiettivo appare molto lontano. Più in generale sembra esservi difficoltà a realizzare le politiche richieste dagli obiettivi che vengono concordati in diversi consessi internazionali – e anche a livello europeo – per contrastare il cambiamento climatico» [5]. Un secondo aspetto analizzato e che affonda sui meccanismi di potere è quello delle stranded assets (investimenti incagliati), «cioè delle riserve di carbone, petrolio e gas naturale già disponibili che perderebbero ogni valore se i fossili venissero utilizzati nella misura richiesta per rispettare gli accordi di Parigi. Secondo le stime dell’IEA [nternational Energy Agency, ndr] ciò implicherebbe che resterebbero ‘incagliati’ nel sottosuolo investimenti pari a circa 2/3 delle attuali riserve. Le perdite, soprattutto in termini di caduta del valore di borsa delle società proprietarie di quelle assets, sarebbero enormi.  Secondo G. Semieniuk et al. (“Stranded fossil-fuel assets translate to major losses for investors in advanced economies” in Nature Climate Change, 2022) si tratterebbe di circa 1400 miliardi di dollari. […]. In considerazione degli stretti rapporti tra fossili e finanza nonché dell’alta concentrazione degli interessi che sarebbero colpiti appare plausibile ipotizzare che tra le due ricordate evidenze via sia un nesso. Più esplicitamente una causa (preminente) del ritardo nel contrasto al cambiamento climatico sembra essere la temuta perdita di valore delle stranded assets da parte di attori dotati, in vario senso, di potere. Un interesse particolare sembra quindi sovrapporsi all’interesse generale, che possiamo identificare negli obiettivi fissati nei consessi internazionali, con nocumento per la democrazia» [6].
Pasquale Esposito

[1] Harry Stevens, The Washington Post, More than 1.5 billion people have faced dangerous heat this year, 7 giugno 2024
[2] Harry Stevens, ibidem
[3] Copernicucs, Copernicus: June 2024 marks 12th month of global temperature reaching 1.5°C above pre-industrial, 4 luglio 2024
[4] Andrea Di Turi, Valori, Le banche del G7 continuano a essere «fossili», 21 maggio 2024
[5] Maurizio Franzini, EticaEconomia, Potere e cambiamento climatico, 30 giugno 2024
[6] Maurizio Franzini, ibidem

canale telegram

canale telegram

Segui il canale TELEGRAM

—————————–

Newsletter

Newsletter

Iscriviti alla newsletter

—————————–

Se sei giunto fin qui vuol dire che l’articolo potrebbe esserti piaciuto.
Usiamo i social in maniera costruttiva.
Condividi l’articolo.
Condividi la cultura.
Grazie

July 9, 2024 at 07:18AM

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *