Dal Giappone al teatro shakespeariano: la Conferenza di Kyoto diventa spettacolo – Corriere della Sera
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Una scena di “Kyoto”
«Tutto il mondo è palcoscenico»: parola di William Shakespeare. Chissà cosa penserebbe l’illustre letterato inglese se, a distanza di oltre 400 anni da quella constatazione, vedesse il cambiamento climatico al teatro. Proprio sul palcoscenico della sua Stratford-upon-Avon, da un mese va in scena “Kyoto”, pièce di Joe Murphy e Joe Robertson, curata dalla Royal Shakespeare Company e dalla compagnia Good Chance.L’opera drammatizza la negoziazione dell’omonimo protocollo internazionale – avvenuta nel 1997 – per contrastare il climate change.
La pièce di Joe Murphy e Joe Robertson mette in scena le negoziazioni del 1997 per il protocollo internazionale sul cambiamento climatico. E si concentra sull’uso del lessico con cui si mettono “nero su bianco” i rischi climatici e le operazioni per contrastarli
Siamo in Giappone: 37 stati industrializzati e la Comunità Europea, alle porte di un nuovo millennio, vogliono definire obiettivi vincolanti e quantificabili di limitazione e riduzione dei gas serra. Nulla di simile è mai stato fatto sinora. Ognuno ha i propri interessi da tutelare: i principali produttori di combustibili fossili, come Emirati Arabi e Stati Uniti, non intendono cedere terreno agli ambientalisti. Le prime frizioni cominciano a profilarsi quando, nello stendere le relazioni finali, i delegati statunitensi ed emiratini propongono di scrivere che «i cambiamenti climatici potrebbero causare l’innalzamento dei mari»; lo fanno usando il verbo inglese “would”, il condizionale dal valore più ipotetico. Prontamente giunge la richiesta di correzione da parte di Kiribati, un atollo del Pacifico: bisogna usare il verbo servile “could”, che meglio evidenzia il nesso causale. Lo spettacolo, dalla durata di tre ore ci immerge nelle cavillosità grammaticali; Kyoto prova a traslare la necessità di chiarezza anche nelle scenografie: lo spazio metateatrale è occupato da un tavolo da conferenza ovaliforme attorno al quale prendono posto alcuni membri del pubblico, gomito a gomito con gli attori.
I nemici
Un’alleanza di piccole isole non è d’accordo neppure con questa formulazione: il verbo da impiegare è il futuro semplice “will”, l’unico a rimarcare che convivere coi disastri del climate change non è uno scenario virtuale. Si tratta, piuttosto, di un destino ineluttabile. A osteggiare le trattative condotte già sul filo del rasoio vi sono le sette sorelle, le compagnie petrolifere principali, che decidono di mandare all’avanscoperta il lobbista e avvocato repubblicano Don Pearlman (interpretato da Stephen Kunken). Ribattezzato come il “sommo sacerdote del Carbon Club”, Pearlman – l’antagonista – si prodiga nell’impedire ai delegati di raggiungere una mediazione. «Un personaggio dai tratti suadenti», lo descrive una recensione del Guardian: «I suoi discorsi sono sempre tesi a rimarcare le conseguenze economiche e le ipocrisie sottese all’ambizione di voler salvare il mondo dalla CO2». Il resto è storia. Molte nazioni, in quel di Kyoto, dopo aver passato giornate intere a discutere su punti e virgole, si impegneranno a ridurre le loro emissioni di gas serra, nel periodo compreso tra il 2008 e il 2012, di almeno il 5 per cento rispetto ai livelli del 1990.
Sottigliezze diplomatiche
Il Protocollo, pur avendo spianato la strada al successivo Accordo di Parigi (2015), resta adombrato dall’esonero di 134 Paesi in via di sviluppo ai vincoli fissati e dalla non ratifica da parte degli Stati Uniti d’America
. Rilevante, a tal proposito, l’interpretazione di Raad Rawi nelle vesti del delegato dell’Arabia Saudita e di Nancy Crane in quelle degli Usa: i loro modi compiti sono quelli della realpolitik e rifuggono ogni sentimentalismo. «Chi è del settore descrive i negoziati sul clima come incredibilmente aridi, con i partecipanti che sembrano mercanteggiare su piccole sfumature lessicali e discutere di un linguaggio che la maggior parte delle persone stenterebbe a comprendere», sintetizza un commento apparso su Bloomberg a proposito della pièce. Kyoto prova a ribaltare questa constatazione, immergendoci – con le dovute citazioni a Shakespeare (Iago, Macbeth e Riccardo III) – nelsancta sanctorum della diplomazia. Gli argomenti di Kyoto non sono certo quelli di intrighi di corte o di amanti osteggiati, ma temi di attualità che riguardano il nostro futuro. Argomenti sui quali non deve calare il sipario.
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July 15, 2024 at 12:45PM