Accordo di Parigi: quando nasce e perché è importante – HDblog

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Con questo articolo intendiamo aggiungere un’altra voce al glossario green, già arricchitosi col contenuto riguardante il bilancio di sostenibilità, andando a ripercorrere il cammino che ha portato buona parte del mondo a stilare e firmare l’Accordo di Parigi, ad oggi il punto di riferimento per quanto riguarda la lotta al Cambiamento Climatico.

Con l’espressione “Accordo di Parigi” si fa riferimento al trattato internazionale giuridicamente vincolante sui cambiamenti climatici, sottoscritto da 196 nazioni durante la COP21 tenutasi nella capitale francese il 12 dicembre 2015. Il trattato è entrato ufficialmente in vigore poco meno di un anno dopo, il 4 novembre 2016.

La Conferenza delle Nazioni Unite aveva come obiettivo quello di contenere l’aumento della temperatura del Pianeta a massimo 1,5° C in più rispetto alle temperature registrate nell’era pre-industriale, limitando le emissioni di gas clima-alteranti (in primis l’anidride carbonica, ma non solo) in atmosfera.

Menzionando l’Accordo di Parigi è giusto spendere due parole anche per chiarire come mai si faccia sempre riferimento all’era pre-industriale. Questa espressione identifica il mondo prima dell’invenzione del motore a vapore da parte di James Watt (1784) che diede lo slancio per la creazione e l’utilizzo dei motori a scoppio alimentati da combustibili fossili, quindi il periodo precedente al 1720 – 1800, in cui le emissioni di CO₂ erano perfettamente gestite dal ciclo naturale del carbonio.

La Conferenza non si è limitata ad identificare l’obiettivo climatico, ma anche a individuare le strategie per raggiungerlo, fornendo un quadro per il supporto finanziario, tecnologico e di capacity-building che i Paesi più sviluppati devono mettere a disposizione delle nazioni in via di sviluppo e/o di quelle maggiormente colpite dagli effetti del cambiamento climatico.

Pertanto, l’Accordo di Parigi si radica sui principi di equità e di responsabilità comune ma differenziata, ovvero richiede un contributo attivo e propositivo da parte di ogni nazione, ma al contempo tiene conto delle differenze socioeconomiche e delle capacità materiali e finanziarie di ciascuna delle parti firmatarie.

Questi principi sono alla base sia dei piani di mitigazione dei cambiamenti climatici, sia dei meccanismi dei fondi di aiuto all’adattamento per i Paesi in via di sviluppo.

Come detto, ogni nazione firmataria ha dato il suo contributo, prima di tutto impegnandosi a mantenere l’aumento della temperatura media globale ben al di sotto di 2°C in più rispetto ai livelli preindustriali e di proseguire gli sforzi per limitarlo a 1,5°C. Prima e durante la conferenza di Parigi i Paesi hanno presentato piani d’azione nazionali globali in materia di clima (chiamati contributi determinati a livello nazionale – NDC) al fine di ridurre le proprie emissioni di gas clima-alteranti.

Ognuno dei Governi firmatari si è impegnato a comunicare ogni cinque anni alle Nazioni Unite il proprio piano d’azione, che ad ogni quinquennio deve essere più ambizioso, ponendo obiettivi via via più importanti. Al contempo, ogni Nazione deve dialogare con "trasparenza" con le altre e il proprio popolo, mostrando i risultati raggiunti e i target da conseguire negli anni a venire.

Tutti gli Stati europei (sia quelli appartenenti all’Unione Europea, sia gli altri) hanno ratificato l’Accordo di Parigi già nel 2015, senza più uscire dal trattato. Gli Stati Uniti, sotto la guida di Donald Trump, hanno invece deciso di uscire da questo trattato, per poi rientrarvi il 19 febbraio 2021 con uno dei primissimi atti promulgati da Joe Biden. La Cina ha invece sempre mantenuto un atteggiamento neutrale, valutando maggiormente la possibilità di seguire una propria roadmap climatica piuttosto che uniformarsi all’Accordo di Parigi.

August 7, 2024 at 10:39AM

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