La svolta dell’autorità che regola il deep sea mining

La svolta dell’autorità che regola il deep sea mining

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L’International Seabed Authority (ISA) ha una nuova capa ed è una scienziata ambientale. Si chiama Leticia Carvalho, è un oceanografa brasiliana e ha precedentemente lavorato come funzionaria presso il Programma ambientale delle Nazioni Unite a Nairobi. Lo scorso 2 agosto è stata eletta segretaria generale dell’organo regolatore internazionale incaricato di garantire la protezione dell’ambiente marino dagli effetti dannosi del deep sea mining. Si tratta di una nomina che potrebbe rallentare la corsa allo sfruttamento minerario delle profondità marine ponendo regole più stringenti sulla salvaguardia ambientale.

Il ruolo dell’ISA nella corsa ai materiali critici degli abissi 

Il deep sea mining (o estrazione mineraria in acque profonde) è il processo di estrazione dei metalli critici dal fondale marino profondo. Nonostante sia stata esplorata solo una piccolissima parte degli abissi, sappiamo che, quello che viene definito scientificamente “mare profondo” (il punto dove la luce non riesce più a filtrare, circa dai 200 metri in giù) – è ricco di rame, cobalto, nichel, zinco, argento, oro, litio e terre rare.

Quelle materie prime critiche essenziali per il processo di elettrificazione e decarbonizzazione che il mondo sta faticosamente portando avanti.

Le licenze di esplorazione  e la valutazione ambientale dei progetti di scavo in acque internazionali sono competenza dell’International Seabed Authority (ISA), organo regolatore che oggi comprende 169 paesi e l’Unione Europea. Ad oggi l’International Seabed Authority,  ha già emesso 32 licenze esplorative per la ricerca di cobalto, nichel e altri metalli critici per oltre 1,3 milioni di chilometri quadrati di fondali marini in acque internazionali.

Trasparenza e salvaguardia ambientale sono i principi della Carvalho

Dal primo gennaio 2025 Leticia Carvalho prenderà il posto dell’ormai ex direttore dell’International Seabed Authority Michael Lodge, avvocato britannico recentemente travolto da una bufera di polemiche dopo che nell’aprile del 2022 era apparso in veste di imprenditore in un video promozionale dell’allora DeepGreen Metals. Oggi l’azienda mineraria canadese si chiama The Metals Company ed è titolare – insieme alla Nauru Ocean Resources Inc. – di diverse concessioni esplorative nella Clarion Clipperton Zone, la faglia oceanica del Pacifico più ricca di metalli critici (cobalto e nichel soprattutto) al momento conosciuta.

La compagnia canadese non ha nascosto la sua intenzione di richiedere un’altra licenza mineraria quest’anno, indipendentemente dall’esistenza o meno di un regolamento, che l’ISA ha programmato di redigere entro il luglio del 2025.

Più precauzioni sugli impatti ambientali 

Le conseguenze ambientali del deep sea mining sono ancora sconosciute. Fino a che non saranno comprese meglio, 37 stati membri dell’ISA e oltre 880 scienziati e attivisti hanno caldeggiato una moratoria internazionale per fermare il deep sea mining. Tra loro, il presidente dello stato insulare di Palau, Surangel Whipps Jr, che ha paragonato lo sfruttamento minerario marino a una forma di imperialismo economico, in cui le multinazionali minerarie scelgono il profitto a discapito del benessere delle persone e degli ecosistemi.

Mentre Leticia Carvalho ha dichiarato che al momento la questione moratoria non rientra nell’agenda dell’ISA, altre delegazioni − tra cui Cina, Giappone e alcuni paesi africani – spingono per accelerare la creazione di una nuova governance. Un regolamento che permetta di iniziare il prima possibile le operazioni minerarie.

Secondo IUCN (International Union for Conservation of Nature), l’estrazione mineraria solleva sedimenti dal fondo del mare, creando pennacchi di particelle sospese. Ciò è aggravato dalle navi minerarie che scaricano acque reflue in superficie. Gli scienziati temono che queste particelle possano disperdersi per centinaia di chilometri, impiegare molto tempo per sedimentarsi nuovamente sul fondo del mare e influenzare gli ecosistemi e le specie marine più vulnerabili. Inoltre specie come balene, tonni e squali potrebbero essere influenzate dal rumore, dalle vibrazioni e dall’inquinamento luminoso causato dalle attrezzature minerarie e dalle navi di superficie, nonché da potenziali perdite e fuoriuscite di carburante e prodotti tossici.

September 3, 2024 at 12:34PM
Simone Fant

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