Più di 1 donna su 4 ha subito violenza sul posto di lavoro

Più di 1 donna su 4 ha subito violenza sul posto di lavoro

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«Cominciò a farmi un massaggio alle spalle per poi scendere e toccarmi il seno e la pancia fino al pube. Anche se stava violando i confini del mio corpo, mi sentii bloccata nella reazione che avrebbe meritato, perché era un nuovo personaggio di punta dello studio partner e tutti i colleghi erano là, fuori dalla porta. Mentre il molestatore agiva, i colleghi chiesero se avessimo finito, ma non aprirono la porta».

E ancora: «Non ho mai avuto il coraggio di parlare al lavoro della molestia subita, perché mi vergognavo, nonostante sapessi che le mie colleghe mi avrebbero supportata. Ora ho capito di aver sbagliato, perché finché nessuno parla i colpevoli non possono prendersi le loro colpe e capire il danno che fanno a chi lo subisce e al suo percorso lavorativo».

Queste sono solo due tra le 140 testimonianze anonime di donne e uomini che hanno subito molestie. Sono tutte raccolte nel rapporto “Non staremo al nostro posto. Per un lavoro libero da molestie e violenze” presentato dall’organizzazione umanitaria WeWorld. Il rapporto analizza e denuncia le molestie e i comportamenti abusanti che ancora oggi caratterizzano i luoghi di lavoro, intrecciandosi con dinamiche di precarietà, gerarchia e prevaricazione, e contiene anche un sondaggio d’opinione realizzato da Ipsos su un campione di 1.100 lavoratori e lavoratrici tra i 20 e i 64 anni, offre uno sguardo concreto e attuale sul fenomeno.  Gli abusi sul posto di lavoro possono essere di diversa natura: fisici (come schiaffi o aggressioni), psicologici (insulti, emarginazioni), sessuali (avance indesiderate, ricatti) o economici (ostacoli alla crescita professionale).

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«Il rapporto», spiega Andrea Comollo, responsabile programmi Italia, Europa e comunicazione di WeWorld, «nasce da  un’esigenza forte, che è quella di guardare alla violenza sulle donne da più punti di vista, senza accorgersi che esiste unicamente quando ci sono casi di femminicidio o di violenza fisica, che sono – purtroppo – la punta dell’iceberg. Sono la manifestazione più evidente di un sistema radicato e onnipresente in ogni aspetto quotidiano. E quindi serve indagare questi aspetti quotidiani. La violenza esiste perché esiste il patriarcato. Perché il patriarcato non è finito e mi dispiace dover dare questa notizia a chi ritiene che ce lo siamo messi alle spalle – esiste ed è sistemico, attraversa la scuola, la famiglia, il lavoro. Il patriarcato fa male a tutte e tutti, anche a noi uomini, ma se sei donna paghi il prezzo più alto. Il tema della violenza contro le donne è un tema anche maschile, dobbiamo smetterla di chiedere alle donne di risolvere la questione da sole, di imparare a difendersi, di impegnarsi loro a riconoscere gli aggressori o in alternativa di vivere in un sistema dominato dal controllo e dalla sicurezza per evitare la violenza. Si deve costruire un mondo, una città, dove non ci sia solo l’alternativa tra essere a rischio o essere al sicuro, ma dove si possa essere insieme. Dove il ruolo maschile non sia binario: maschio violento o maschio che tiene al sicuro le donne e le difende. Per questo è necessario che gli uomini siano all’interno di questo dialogo. Siamo il primo fattore di violenza contro le donne e siamo parte della società e del sistema che alimenta il patriarcato, anche nei luoghi di lavoro. Abbiamo privilegi che derivano da secoli di potere, è tempo di usarlo non per le donne, in modo unidirezionale come una concessione, ma insieme». 

La presentazione del rapporto si è tenuta questa mattina a Milano. Ha partecipato anche l’assessore al Welfare e Salute Lamberto Bertolé: «I dati emersi dal report», ha dichiarato, «ci consegnano da un lato l’evidenza della gravità del fenomeno. Dall’altro lato, sono forse sintomo che una maggiore consapevolezza si sta diffondendo: vuol dire che tantissime persone sono riuscite a dare un nome a comportamenti sbagliati perché li hanno riconosciuti come tali e non li hanno considerati giustificabili». 

«L’indagine», ha aggiunto Elena Lattuada, delegata del Sindaco di Milano alle pari opportunità di genere, «mette in evidenza un problema che esiste ed è presente in maniera significativa a tutti i livelli. Dal mansplaining, alla violenza verbale, dal mobbing agli abusi sessuali: è importante dare un nome alla violenza e garantire un sostegno serio a chi la subisce. Il Comune, dal canto suo, sta affrontando un percorso di certificazione di genere. Dal punto di vista nazionale, sarebbe importante approvare norme più specifiche di quelle attuali che riconoscano e sanzionino questi comportamenti evidenziandone la differenza e la gravità». 

Greta Nicolini, ufficio stampa di WeWorld, ha illustrato nel dettaglio i dati raccolti, ma prima ha ricordato: «Passiamo molto tempo nei luoghi di lavoro dove si verificano casi di violenza. Eppure l’economia è l’arma principale che hanno le donne per sfuggire alla violenza domestica. In questo rapporto abbiamo unito la prospettiva numerica, quella personale – perché dietro i numeri ci sono sempre le storie delle persone – e una prospettiva propositiva, degli interventi da mettere in campo per provare a cambiare lo stato delle cose».

La percezione della violenza sul luogo di lavoro

 Secondo il campione intervistato, le forme di violenza più diffuse sono la violenza verbale (56%), al secondo posto il mobbing (53%) e al terzo posto, distaccato, l’abuso di potere (37%). Chiudono violenza fisica (10%), stalking (6%) e violenza online (2%).
Le molestie sessuali sono percepite come la forma di violenza più grave dal 52% del campione, seguite dal mobbing (37%) e dalla violenza fisica (34%). 
La percezione è che le donne subiscono maggiormente quasi tutte le forme di violenza rispetto agli uomini, a eccezione della violenza fisica e del bullismo.

L’esperienza della violenza sul luogo di lavoro

Il 60% di lavoratori e lavoratrici è a conoscenza di episodi di violenza avvenuti sul proprio luogo di lavoro.
Il 42% degli intervistati ha assistito e/o subito a episodi di violenza sul posto di lavoro.
Il 22% ha subito violenza sul posto di lavoro almeno una volta nella vita. Tra le donne il dato sale al 28%.
Gli autori delle violenze sul lavoro sono soprattutto capi (42%) o colleghi uomini (35%), seguiti da colleghe (22%) e cape donne (13%).
Una donna su 2 (50%) tra quelle che hanno subito violenza sul luogo di lavoro indica il capo uomo come autore della violenza.

Le conseguenze della violenza sul luogo di lavoro

Stress e ansia sono le conseguenze più comuni della violenza sul lavoro, segnalate dal 56% delle persone intervistate. Subito dopo, il burnout è stato indicato dal 33%, seguito da diminuzione dell’autostima (30%), dimissioni (25%) e depressione (21%).
Il 37% delle donne ha sperimentato il burnout dopo le violenze sul lavoro.
Il 25% degli uomini ha avvertito un calo della produttività dopo le violenze sul lavoro.
Il 25% del campione intervistato ha dato le dimissioni dopo violenze sul lavoro.
Il 14% è stata licenziata/o in seguito a violenze subite sul luogo di lavoro.

Perché non si denuncia

 Una delle ragioni principali per cui chi subisce violenza non denuncia l’accaduto è la paura di perdere il lavoro: questo sentimento è condiviso dal 59% del campione, e sale al 62% tra le donne. Il 53% esprime timore di ritorsioni da parte di chi ha commesso la violenza, mentre il 41% pensa che denunciare non servirebbe a nulla.
Per il 26% delle donne, il motivo principale per non denunciare è il timore di non essere creduta.
Per quasi 2 operaie su 3 (65%) il motivo principale per non denunciare una violenza subita sul luogo di lavoro è il timore di perdere il posto.
Due persone su 3 (67%) che hanno assistito o subito violenza sul lavoro non si sono sentite tutelate dalla propria azienda, con una percentuale più alta tra le donne (80%).

Micro-aggressioni

 Il 71% delle persone intervistate ha assistito o subito almeno una micro-aggressione sul posto di lavoro. Di queste, il 58% ha dichiarato di esserne stata vittima diretta.
Il 37% delle donne ha subito episodi di mansplaining sul luogo di lavoro.
Più di 1 donna su 4 (27%) ha subito sguardi o avances inappropriate.
I principali responsabili delle micro-aggressioni sono colleghi (38%) e capi uomini (37%), seguiti a notevole distanza da clienti uomini (14%) e da colleghe donne (12%).
Una persona su 5 (21%) ha subito micro-aggressioni da parte della clientela.
Giovani lavoratori e lavoratrici riportano una maggiore esposizione a micro-aggressioni da parte di clienti (34% rispetto al 21%) ed estranei (33% rispetto al 17%).

Per contrastare molestie e violenze, lavoratori e lavoratrici indicano l’istituzione di sanzioni per comportamenti violenti (37%), la gestione rapida e seria delle segnalazioni di violenza (37%) e la possibilità di denunciare tramite linee di segnalazione anonime (32%).

Raccomandazioni

In chiusura del Rapporto WeWorld ha sviluppato alcune proposte mirate per il contesto italiano, per promuovere un cambiamento reale: non solo linee guida di intervento, ma anche un invito a mettere davvero in discussione le dinamiche di prevaricazione alla base degli abusi:

Prevenire
Percorsi di formazione in tutte le aziende.
Promozione di campagne di sensibilizzazione multicanale rivolte all’intera popolazione che individuino il fenomeno e le sue specificità, da diffondere su scala nazionale.
Introduzione di curricula obbligatori di educazione alla sessualità e all’affettività nelle scuole di ogni ordine e grado.

(Ri)conoscere e monitorare
Perfezionamento della Certificazione della parità di genere.
Introduzione del reato di molestie sessuali in tutti gli ambiti, compreso il luogo di lavoro.
Introduzione e perfezionamento di strumenti per la valutazione dei rischi.

Intervenire
Adozione di un Codice di condotta che tuteli lavoratori e lavoratrici nei casi di violenze e molestie sul luogo di lavoro.
Identificazione di figure specializzate e meccanismi di ricorso adeguati.
Istituzione di programmi di supporto per chi ha subito o assistito a violenza.

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November 20, 2024 at 05:31PM

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