Il trattato globale sulla plastica si chiude senza un accordo

Il trattato globale sulla plastica si chiude senza un accordo

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Si è concluso senza un accordo il quinto ciclo di negoziati (INC-5) per un trattato internazionale giuridicamente vincolante contro l’inquinamento da plastica. A Busan, in Corea del Sud, dopo una settimana di lavori, i negoziatori non sono riusciti a produrre nessun testo che mettesse d’accordo i paesi.

Il Comitato intergovernativo di negoziazione ha deciso di riunirsi nuovamente in una sessione aggiuntiva nel 2025.Sono stati 3 i punti sui quali c’è stato il maggior disaccordo: prodotti e sostanze chimiche problematiche utilizzate nei prodotti di plastica; un tetto alla produzione; e infine l’istituzione di un meccanismo finanziario. 

Le tattiche dei Petrostati per bloccare il trattato

Sin dai primi cicli di negoziati, le posizioni si sono sempre presentate fortemente divise: da una parte i paesi del gruppo dei Like-minded countries e il blocco arabo, che hanno cercato di escludere dal trattato qualsiasi obiettivo di riduzione della produzione globale di plastica e ogni divieto relativo alle sostanze chimiche dannose.

Dall’altra parte, invece, i paesi rappresentati dal gruppo High Ambition Coalition e da altri “stati volenterosi” spingevano per ridurre la produzione di polimeri plastici primari a livelli sostenibili e promuovere l’economia circolare, adottando misure lungo l’intero ciclo di vita della plastica.

La maggior parte dei negoziatori ha espresso frustrazione riguardo le tattiche dilatorie messe in atto dal gruppo dei Like-minded countries, paragonabili a quelle messe in atto dai produttori di combustibili fossili ai vertici sul clima. 

Un esempio di queste tattiche ha riguardato la necessità di procedere tramite consenso ribadita da India, Federazione Russa, Kazakistan, Bahrein, Egitto, Arabia Saudita per il gruppo arabo e Kuwait. Per questi Like-minded countries tutte le decisioni su questioni sostanziali avrebbero dovuto essere prese solo con il consenso di tutti, senza passare dalla regola procedurale 38.1 che prevede il ricorso al voto qualora non si trovi il consenso.

Ruanda, Messico e Panama alla guida dei paesi più ambiziosi

Nella plenaria di domenica primo dicembre, Juliet Kabera, negoziatrice del Ruanda (paese della High Ambition Coalition), ha espresso “forti preoccupazioni” circa le continue richieste da parte di un piccolo gruppo minoritario di paesi di rimuovere dal testo le disposizioni vincolanti che sono indispensabili affinché il trattato sia efficace

Alla fine del suo intervento ha chiesto ai presenti in sala di alzarsi in piedi se fossero stati d’accordo con un trattato globale solido. Quasi tutta la sala si è alzata in piedi, un segno molto chiaro di ambizione a cui è seguito l’intervento di Camila Zepeda del Messico che fa parte dei paesi che hanno sottoscritto una disposizione “legalmente vincolante” per eliminare gradualmente i prodotti di plastica più dannosi e le sostanze chimiche preoccupanti utilizzate nella loro produzione.

Secondo il Center for International Environmental Law (CIEL), anche l’Unione europea ha portato avanti una posizione piuttosto netta a favore di un tetto alla produzione e di altre misure ambiziose.

I lobbisti dell’industria fossile a Busan

Oltre alle tattiche utilizzate dai petrostati per rallentare il processo negoziale, anche la presenza di lobbisti dell’industria petrolchimica e fossile è un’altra dinamica controversa paragonabile a quello che accade alle COP sul clima. 

Martedì 26 novembre, il secondo giorno di negoziati, un’analisi di CIEL ha registrato 220 lobbisti dell’industria chimica e dei combustibili fossili all’INC-5. Presi insieme, sarebbero il singolo paese più grande. Per fare un paragone: la Repubblica di Corea, paese ospitante, aveva 140 rappresentanti, le delegazioni dell’Unione Europea e di tutti i suoi stati membri insieme 191, mentre gli scienziati indipendenti della Scientists’ Coalition for an Effective Plastics Treaty erano 70.

16 lobbisti sono stati inclusi nelle delegazioni nazionali di Paesi come Cina, Egitto e Malesia. Aziende come Dow e ExxonMobil sono tra le più rappresentate, con rispettivamente 5 e 4 lobbisti registrati. Secondo CIEL questi dati sollevano preoccupazioni riguardo all’influenza sproporzionata dell’industria sui negoziati, con segnalazioni di intimidazioni nei confronti di scienziati indipendenti e pressioni sulle delegazioni nazionali per favorire posizioni allineate agli interessi industriali”.

“Come scienziati indipendenti, siamo preoccupati che la scienza sia stata usata impropriamente per creare confusione e ritardi da parte di alcuni stati membri”, ha detto Trisia Farrelly, professoressa e membro onorario presso la Massey University e scienziata senior presso il Cawthron Institute (Nuova Zelanda) in un comunicato stampa della Scientists’ Coalition rilasciato dopo la chiusura di INC-5. “Ciò sottolinea ulteriormente l’importanza di una scienza e di strategie indipendenti e solide per impedire che i conflitti di interesse facciano deragliare il futuro trattato.”

December 3, 2024 at 07:32PM

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