Immaginate di avvolgere la Terra in una coperta invisibile che trattiene il calore del sole. Questo è esattamente ciò che sta accadendo con il cambiamento climatico, e l’anidride carbonica (CO2) è il principale tessuto di questa coperta sempre più spessa. Negli ultimi decenni, il dibattito sul cambiamento climatico è passato dalle aule universitarie alle prime pagine dei giornali, diventando una preoccupazione quotidiana per cittadini, imprese e governi di tutto il mondo.
La storia dell’anidride carbonica nell’atmosfera è antica quanto la Terra stessa. Questo gas incolore e inodore ha sempre fatto parte del nostro pianeta, svolgendo un ruolo fondamentale nel mantenere temperature adatte alla vita. Tuttavia, dall’inizio della rivoluzione industriale, le attività umane hanno drasticamente alterato questo equilibrio naturale. L’uso massiccio di combustibili fossili come carbone, petrolio e gas naturale ha riversato nell’atmosfera quantità di CO2 mai viste prima.
L’aumento della concentrazione di gas serra sta amplificando questo l’effetto serra naturale del’atmosfera, causando un riscaldamento globale accelerato. L’anidride carbonica non è l’unico gas responsabile di questo fenomeno, ma è certamente il più significativo per volume e persistenza nell’atmosfera. Quando bruciamo combustibili fossili per produrre energia, guidare veicoli o riscaldare edifici, rilasciamo CO2 che può rimanere nell’atmosfera per centinaia di anni.
Altri gas serra giocano ruoli altrettanto importanti, anche se sono presenti in quantità minori. Ad esempio il metano viene prodotto principalmente dall’agricoltura intensiva, dall’allevamento di bestiame e dalle discariche. Sebbene rimanga nell’atmosfera per un periodo più breve rispetto alla CO2, il suo potenziale di riscaldamento è 28 volte superiore.
Per gestire questa complessità, gli scienziati hanno sviluppato il concetto di “CO2 equivalente” (CO2e). Questo sistema permette di convertire l’impatto di tutti i gas serra in un’unica unità di misura, utilizzando la CO2 come riferimento. È come convertire diverse valute in una moneta comune: la CO2e permette di confrontare l’impatto climatico di gas diversi.
Questa standardizzazione è fondamentale per sviluppare politiche efficaci di riduzione delle emissioni. Quando un’azienda o un paese si impegna a ridurre le proprie emissioni, deve considerare non solo la CO2, ma tutti i gas serra che produce. Il sistema della CO2e permette di stabilire obiettivi chiari e misurabili, facilitando il monitoraggio dei progressi verso un’economia a basse emissioni di carbonio.
La comprensione di questi concetti fondamentali è essenziale per affrontare la sfida del cambiamento climatico. Cerchiamo di capire insieme come funziona questo processo, utilizzando termini semplici ma precisi.
Il Carbon Foot Print: cos’è e come si misura
L’impronta carbonica, o carbon footprint in inglese, è come una “fotografia” che mostra quanti gas serra produciamo attraverso le nostre attività. Ogni nostra azione lascia una “traccia” nell’atmosfera sotto forma di emissioni.
Esistono due modi principali per calcolare l’impronta carbonica. Il primo riguarda i singoli prodotti: immaginate di seguire un prodotto dal momento in cui vengono estratte le materie prime necessarie per crearlo, fino a quando viene smaltito o riciclato. Durante questo viaggio, chiamato “ciclo di vita”, si producono emissioni in ogni fase: nella produzione, nel trasporto, nell’uso e nello smaltimento. Tutte queste emissioni vengono sommate per ottenere l’impronta carbonica del prodotto.
Il secondo approccio considera invece l’intera organizzazione: un’azienda, un ente pubblico o qualsiasi altra struttura. In questo caso, si considerano tutte le attività dell’organizzazione e si calcolano le emissioni totali prodotte in un determinato periodo, solitamente un anno.
Il sistema dei tre Scope: un approccio strutturato
Per rendere più precisa e standardizzata la misurazione delle emissioni di un’azienda o un’organizzazione, è stato sviluppato un sistema chiamato “dei tre Scope”, che possiamo immaginare come tre cerchi concentrici di responsabilità sempre più ampi.
Scope 1: Le emissioni dirette
Queste sono le emissioni più immediate e controllabili. Prendiamo come esempio un’azienda manifatturiera: le emissioni Scope 1 includono i gas serra prodotti dai suoi macchinari, dai veicoli aziendali e dagli impianti di riscaldamento. Sono emissioni che l’organizzazione produce direttamente e sulle quali ha un controllo diretto.
Scope 2: L’energia acquistata
Il secondo livello riguarda le emissioni associate all’energia che l’organizzazione acquista e utilizza. Se un’azienda compra elettricità dalla rete nazionale, le emissioni prodotte per generare quella elettricità rientrano nello Scope 2 anche se l’organizzazione non produce direttamente queste emissioni, ne è responsabile in quanto consumatore.
Scope 3: La catena del valore
Questo è il livello più ampio e complesso, che include tutte le altre emissioni indirette legate alle attività dell’organizzazione. Comprende le emissioni prodotte dai fornitori, quelle generate dai dipendenti per recarsi al lavoro, quelle associate all’uso dei prodotti da parte dei clienti e al loro smaltimento finale. È come considerare l’intera “famiglia allargata” delle emissioni.
Una misurazione precisa delle emissioni è fondamentale per diversi motivi. Innanzitutto, permette alle organizzazioni di identificare le aree dove le emissioni sono più elevate e quindi dove è più urgente intervenire. È come fare una diagnosi prima di prescrivere una cura.
Inoltre, una buona contabilità delle emissioni aiuta a:
– Stabilire obiettivi realistici di riduzione
– Monitorare i progressi nel tempo
– Comunicare in modo trasparente con gli stakeholder
– Rispettare le normative ambientali sempre più stringenti
– Identificare opportunità di risparmio economico attraverso l’efficienza energetica
La sfida più grande riguarda spesso lo Scope 3, dove la raccolta dei dati può essere complessa a causa del numero di attori coinvolti e della difficoltà di tracciare tutte le emissioni lungo la catena del valore. Tuttavia, è proprio qui che spesso si nascondono le maggiori opportunità di miglioramento.
Il processo di misurazione richiede competenze specifiche e l’utilizzo di metodologie standardizzate internazionalmente. Molte organizzazioni si affidano a esperti del settore per garantire calcoli accurati e conformi agli standard.
Il Life Cycle Assessment
La misurazione delle emissioni non è solo un esercizio accademico in quanto solo ciò che viene misurato può essere gestito efficacemente e questo diventa sempre più cruciale per il successo di qualsiasi organizzazione.
Il Life Cycle Assessment (LCA), o Valutazione del Ciclo di Vita, è uno strumento fondamentale che permette alle aziende di comprendere in profondità l’impatto ambientale delle proprie attività. Possiamo immaginarlo come una “radiografia ambientale” che esamina ogni fase della vita di un prodotto o servizio, dalla culla alla tomba. Questa metodologia, standardizzata dalle norme ISO 14040 e 14044, consente di analizzare l’impronta ambientale di un prodotto o servizio considerando ogni fase della sua esistenza, dall’estrazione delle materie prime fino al fine vita.
L’ approccio sistematico del LCA consente di mappare con precisione tutti i flussi di materiali ed energia, identificare i punti critici dove l’impatto ambientale è maggiore, valutare diverse alternative di progettazione e produzione e prendere decisioni basate su dati concreti e non su supposizioni.
L’LCA è particolarmente prezioso perché evita il rischio di spostare semplicemente il problema da una fase all’altra del ciclo di vita. Una volta completata l’analisi, le aziende possono identificare numerose opportunità per ridurre le proprie emissioni. Queste opportunità si traducono spesso in vantaggi concreti sia per l’ambiente che per il business. Nel contesto della pianificazione strategica aziendale, l’LCA aiuta a identificare opportunità di ottimizzazione dei processi e riduzione dei costi, mentre nella gestione della supply chain permette di valutare e migliorare le prestazioni ambientali dei fornitori. Questo può includere l’ammodernamento degli impianti con tecnologie più efficienti, il recupero e riutilizzo di scarti e sottoprodotti, l’ottimizzazione dei consumi energetici e l’implementazione di sistemi di monitoraggio in tempo reale.
Da un altro punto di vista, in un epoca in cui i consumatori sono sempre più attenti alle tematiche ambientali, un impegno concreto nella riduzione delle emissioni può tradursi in un significativo vantaggio reputazionale. Questo si manifesta attraverso una maggiore fiducia da parte dei clienti, migliori relazioni con gli stakeholder, maggiore attrattività per investitori e talenti e un posizionamento come leader nella sostenibilità.
Tuttavia, l’LCA presenta anche alcune sfide significative. La raccolta dei dati può essere complessa e richiedere molto tempo, soprattutto quando si analizzano sistemi complessi con molti fornitori e processi. La qualità dei risultati dipende fortemente dalla qualità e disponibilità dei dati di input. Inoltre, l’interpretazione dei risultati richiede competenze specifiche e una buona comprensione delle metodologie di valutazione degli impatti.
La strada verso la carbon neutrality
Nel dibattito sulla decarbonizzazione emergono diversi termini che è importante distinguere con precisione. La neutralità carbonica si riferisce al raggiungimento di un equilibrio tra le emissioni di anidride carbonica e il loro assorbimento dall’atmosfera. Questo equilibrio può essere raggiunto attraverso una combinazione di riduzione delle emissioni e incremento degli assorbimenti naturali o tecnologici.
La neutralità climatica, invece, ha un significato più ampio: implica un impatto neutro su tutti gli aspetti del sistema climatico, includendo non solo la CO2 ma anche altri gas serra e fattori che influenzano il clima. È un obiettivo più ambizioso e complesso da raggiungere.
Il concetto di “net zero”, o zero netto, si riferisce a uno stato in cui le emissioni residue inevitabili sono completamente bilanciate da rimozioni permanenti dall’atmosfera. È importante notare che questo non significa necessariamente zero emissioni assolute, ma piuttosto un bilanciamento tra emissioni e assorbimenti.
Le sfide della compensazione
La compensazione delle emissioni, pur essendo uno strumento importante nel percorso verso la neutralità carbonica, presenta diverse criticità che devono essere attentamente considerate. Una delle principali preoccupazioni riguarda la permanenza degli assorbimenti: quando si investe in progetti di riforestazione, per esempio, non c’è garanzia che gli alberi piantati sopravvivranno per il tempo necessario a compensare effettivamente le emissioni.
La verifica dell’efficacia dei progetti di compensazione rappresenta un’altra sfida significativa. È spesso difficile quantificare con precisione la quantità di CO2 effettivamente assorbita, e i metodi di misurazione possono variare considerevolmente tra diversi progetti e standard di certificazione.
Il rischio di greenwashing è particolarmente rilevante nel contesto della compensazione. Alcune organizzazioni potrebbero utilizzare la compensazione come un escamotage per mascherare l’assenza di azioni concrete di riduzione delle emissioni. Questo comportamento non solo è eticamente discutibile, ma può anche minare la credibilità degli sforzi di mitigazione climatica nel loro complesso.
Il panorama degli impegni delle organizzazioni internazionali per la neutralità carbonica è in continua evoluzione. L’Unione Europea ha assunto una posizione di leadership, impegnandosi a raggiungere la neutralità carbonica entro il 2050 attraverso il Green Deal europeo. Questo ambizioso programma prevede una trasformazione completa dell’economia europea, con investimenti massicci in energia rinnovabile, efficienza energetica e mobilità sostenibile.
La Cina, ha annunciato l’obiettivo di raggiungere la neutralità carbonica entro il 2060. Questo impegno, sebbene più dilazionato nel tempo rispetto a quello europeo, rappresenta comunque una svolta significativa nella politica climatica globale.
Gli Stati Uniti hanno fissato l’obiettivo della neutralità carbonica entro il 2050.
Questo riallineamento delle principali potenze economiche globali crea un momento favorevole per l’azione climatica internazionale.
Verso lo Zero Assoluto: una necessità imprescindibile
Mentre la compensazione può giocare un ruolo nel percorso verso la neutralità carbonica, è sempre più evidente la necessità di puntare allo “zero assoluto” nelle emissioni dove possibile. Questo richiede una trasformazione profonda dei sistemi energetici e produttivi.
La transizione alle energie rinnovabili rappresenta il pilastro fondamentale di questa trasformazione. L’evoluzione tecnologica e la riduzione dei costi stanno rendendo sempre più competitive le fonti rinnovabili rispetto ai combustibili fossili.
La rigenerazione degli ecosistemi naturali gioca un ruolo cruciale non solo per l’assorbimento di CO2, ma anche per la conservazione della biodiversità e la resilienza climatica. Questo include la protezione delle foreste esistenti, il ripristino di ecosistemi degradati e la promozione di pratiche agricole rigenerative.
L’innovazione tecnologica continua a offrire nuove soluzioni per la decarbonizzazione. Le tecnologie di cattura e stoccaggio del carbonio, sebbene ancora in fase di sviluppo, potrebbero svolgere un ruolo importante nei settori dove la riduzione delle emissioni è particolarmente difficile.
Conclusioni e prospettive future
Il percorso verso la neutralità carbonica è complesso e richiede un approccio integrato che combini riduzione delle emissioni, innovazione tecnologica e trasformazione dei modelli di business. La chiave del successo risiede nella capacità di bilanciare ambizione e realismo, mantenendo sempre come priorità la riduzione effettiva delle emissioni rispetto alla compensazione.
La trasparenza, la verificabilità e la permanenza degli interventi di riduzione e compensazione delle emissioni devono essere garantite e questo è possibile solo attraverso standard rigorosi e sistemi di monitoraggio affidabili.