Lavoro e politiche pubbliche: l’innovazione sociale esca dai confini della sperimentazione
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Forse è proprio vero che siamo a un importante punto di svolta per quanto riguarda l’innovazione nel Terzo settore e in particolare nell’impresa sociale. Non solo perché ci sono nuove frontiere a cui tendere – una su tutte l’intelligenza artificiale generativa – ma perché cambia il versante della sfida trasformativa. Il tratto tipico dell’innovazione, cioè la sua “radicalità”, si sposta sempre più dall’offerta alla domanda. Quello che oggi è disruptive viene quindi non dall’ennesima soluzione “effetto wow” ma da sfide di sviluppo poste dalle imprese sociali agli ecosistemi d’innovazione.
Due esempi su tutti. Il primo riguarda l’innovazione tecnologica chiamata a fare i conti con una ridefinizione profonda del mercato del lavoro dell’imprenditoria sociale perché nonostante gli sforzi dell’adeguamento contrattuale – peraltro attuati a macchia di leopardo dalle pubbliche amministrazioni – rimangono, e rimarranno, scoperti molti posti in organico stante la crisi demografica e un appeal del lavoro sociale che non si ricostruisce dall’oggi al domani. La tecnologia, da questo punto di vista, non è però né la panacea né il tappabuchi. Può essere invece un fattore abilitante non solo rispetto a utenti e beneficiari ma anche nei confronti di lavoratori e volontari a patto che questi assumano un ruolo non esecutivo rispetto a supporti pronti all’uso, ma di accompagnamento alla fase di adoption di tecnologie che ormai abbondano e sono, tutto sommato, facilmente accessibili. In questo quadro per creare lavoro sociale di qualità attraverso le tecnologie è però necessario ampliare il focus degli investimenti dalle sole tecnologie dell’efficienza che si collocano a livello gestionale, a soluzioni che arricchiscono i modelli di servizio di una componente phygital sperimentata durante il Covid e poi in gran parte abbandonata nonostante gli ampi margini di miglioramento.
Il secondo esempio riguarda l’innovazione sociale rispetto alla quale, se sì vuol fare sul serio, è necessario “scalare” dai processi alle istituzioni. Negli ultimi anni infatti gli investimenti principali su questo fronte hanno riguardato il redesign dei servizi e dei processi sociali a base comunitaria.
L’impressione è che questo sforzo, sostenuto in particolare grazie ai contributi delle fondazioni, non sia riuscito a sfondare il tetto di cristallo delle politiche e, con esse, delle forme istituzionali. Gli sforzi di coprogettazione non riescono così a dare vita a una nuova generazione di veicoli ibridi pubblico privati in grado di cogestire sistemi di welfare su nuove basi. Ed è per questo che l’assenza di un’adeguata cornice istituzionale riduce la partita della sostenibilità a pur necessari – ma non sufficienti – adeguamenti tariffari.
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Questi temi sono emersi nel corso di un convegno per i 25 anni della cooperativa sociale L’Innesto. Un’esperienza di impresa sociale comunitaria che opera nell’area intermedia” della Val Cavallina in provincia di Bergamo. Territori a scavalco di aree urbane e zone interne che potrebbero candidarsi a laboratorio di nuove governance territoriali dove anche le imprese tradizionali possono essere coinvolte considerando il ritorno di alcuni segmenti del welfare in termini di coesione e competitività. E forse fare anche da advocacy rispetto a livelli meso (Regioni) e macro (Stato) dove queste istanze faticano a crescere di rilevanza nell’agenda politica.
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January 21, 2025 at 12:31PM