Parità di genere e leadership aziendale: un pilastro per la sostenibilità e il successo

In un mondo sempre più focalizzato sulla sostenibilità e sulla responsabilità sociale d’impresa, la parità di genere emerge come un pilastro fondamentale non solo per l’equità sociale, ma anche per il successo aziendale. L’Obiettivo di Sviluppo Sostenibile 5 delle Nazioni Unite sottolinea con forza la necessità di “garantire la piena ed effettiva partecipazione femminile e pari opportunità di leadership a tutti i livelli decisionali nella vita politica, economica e pubblica”, ponendo questa sfida al centro dell’agenda globale per lo sviluppo sostenibile.

La parità di genere rappresenta un elemento cruciale nella valutazione ESG (Environmental, Social, and Governance) delle aziende, influenzando in particolare le componenti Social e Governance. Una leadership diversificata non è più solo una questione di equità sociale, ma diventa un indicatore chiave della capacità di un’organizzazione di creare un ambiente aziendale moderno.

L’importanza della diversità di genere nelle posizioni di leadership va ben oltre il semplice rispetto delle quote o degli obblighi normativi. Studi dimostrano che la diversità nei board aziendali porta a una migliore gestione del rischio, una maggiore innovazione e una più efficace comprensione delle esigenze di un mercato sempre più diversificato.

Tuttavia, nonostante i progressi degli ultimi anni e gli impegni assunti a livello globale, il cammino verso una reale parità di genere nelle posizioni di vertice aziendale resta ancora lungo e complesso. Le barriere culturali, i pregiudizi inconsci e le strutture organizzative tradizionali continuano a rappresentare ostacoli significativi per l’avanzamento delle donne nelle posizioni di leadership.

Per identificare le strategie più efficaci per promuovere un cambiamento significativo e duraturo è necessario analizzare lo stato attuale della rappresentanza femminile nelle posizioni di leadership. Solo lavorando su evidenze concrete sarà possibile trasformare gli impegni in risultati tangibili.

La situazione attuale: numeri e tendenze della leadership femminile

I numeri raccontano una storia di progressi lenti ma costanti verso la parità di genere nelle posizioni di leadership aziendale. Mentre le donne rappresentano circa il 47% della forza lavoro negli Stati Uniti, la loro presenza nei ruoli esecutivi rimane significativamente limitata, evidenziando un divario di genere ai vertici aziendali.

Nelle aziende Fortune 500 nel 2024 le CEO donne hanno raggiunto il 10%, con 53 posizioni rispetto alle 48 dell’anno precedente. Questo incremento, sebbene modesto in termini assoluti, rappresenta un progresso significativo rispetto al passato.

La distribuzione geografica della leadership femminile mostra variazioni poco significative a livello globale. L’Africa guida con il 39% di donne in posizioni senior, seguita dall’America Latina (36%), dall’Europa con il 34% e il Nord America con il 33%, mentre l’Asia-Pacifico registra la percentuale più bassa con il 28%.( What Percentage of CEOs are Women in 2025? – ARTSMART AI)

Analizzando più in dettaglio i dati del 2024:

  • Secondo il World Economic Forum, il 32.2% del senior management è composto da donne nel primo trimestre del 2024, registrando un leggero calo rispetto al 32.6% del 2022.
  • Per quanto riguarda le aziende S&P 500, come riportato da Catalyst e WBC, le donne CEO rappresentano l’8.2% del totale, con una crescita del 30% rispetto all’anno precedente, passando da 32 a 42 executive donne.
  • Secondo WBC, nelle aziende dell’indice azionario Russell 3000, si è registrato un aumento significativo delle CEO donne, passando da 186 nel 2022 a 204 nella prima metà del 2024, rappresentando il 6.8% del totale.
  • Nelle aziende private con ricavi superiori al miliardo di dollari, WBC riporta che solo 79 CEO sono donne, rappresentando appena il 3.3% del totale dei CEO delle maggiori organizzazioni.
  • Secondo Leftronic, negli Stati Uniti le donne occupano il 31% delle posizioni di CEO, includendo anche la leadership politica.

Un dato particolarmente interessante emerge dal report di McKinsey (Women in the Workplace 2024 report | McKinsey). La disuguaglianza di genere nelle posizioni manageriali resta una sfida significativa nel mondo aziendale contemporaneo, nonostante i progressi degli ultimi anni. Un fenomeno particolarmente preoccupante è quello del “gradino rotto” (broken rung): per ogni 100 uomini promossi a posizioni manageriali, solo 81 donne ottengono una promozione analoga. Questa disparità diventa ancora più marcata quando si considerano le donne appartenenti a minoranze etniche. I dati mostrano che solo 54 donne afroamericane e 65 donne latine vengono promosse per ogni 100 uomini che avanzano a posizioni manageriali. La loro rappresentanza nei ruoli C-suite si attesta a un modesto 7%, con incrementi minimi rispetto agli anni precedenti.

Il “gradino rotto” rappresenta un ostacolo critico che impatta l’intero percorso professionale femminile. Quando le donne rimangono indietro nelle fasi iniziali della carriera, il divario tende ad ampliarsi nel tempo, rendendo sempre più difficile il raggiungimento di posizioni senior. Questa situazione è ulteriormente aggravata dal limitato numero dei programmi di sviluppo professionale e di sponsorship dedicati alle donne, limitando ulteriormente le loro opportunità di avanzamento.

Questi dati mostrano un trend generalmente positivo verso una maggiore inclusione femminile nei ruoli di leadership, ma evidenziano anche quanto lavoro resti ancora da fare per raggiungere una vera parità di genere nelle posizioni di vertice aziendale.

Quando i dati sfatano i pregiudizi: evidenze scientifiche sulla parità di comportamento nel lavoro

La questione della disparità di genere nelle posizioni di leadership ha spesso trovato giustificazione in presunte differenze comportamentali tra uomini e donne sul luogo di lavoro. Tuttavia, uno studio pubblicato sull’Harvard Business Review nel 2017 ha utilizzato un approccio innovativo basato su dati concreti per analizzare questa ipotesi, giungendo a conclusioni sorprendenti.

I ricercatori Stephen Turban, Laura Freeman e Ben Waber hanno condotto un’analisi approfondita in una grande azienda multinazionale dove le donne, pur rappresentando il 35-40% della forza lavoro a livello entry-level, costituivano solo il 20% dei due livelli più alti di leadership. Invece di basarsi su sondaggi o autovalutazioni, soggetti ad interpretazioni soggettive, il team ha utilizzato la tecnologia per raccogliere dati oggettivi sul comportamento lavorativo.

La metodologia dello studio è stata particolarmente innovativa. I ricercatori hanno raccolto dati dalle comunicazioni via email e dai calendari delle riunioni di centinaia di dipendenti per quattro mesi. Inoltre, hanno dotato 100 dipendenti di “badge sociometrici”, dispositivi simili a badge identificativi che registravano i modelli di comunicazione attraverso sensori in grado di misurare movimento, prossimità ad altri badge e caratteristiche del parlato (volume e tono della voce, ma non il contenuto).

I risultati hanno completamente sfatato l’ipotesi delle differenze comportamentali. L’analisi ha rivelato che:

  • Le donne avevano lo stesso numero di contatti degli uomini
  • Dedicavano la stessa quantità di tempo al senior management
  • Distribuivano il loro tempo in modo identico agli uomini negli stessi ruoli
  • Ricevevano punteggi statisticamente identici nelle valutazioni delle performance
  • Erano equidistanti dal senior management in termini di connessioni sociali (circa due passaggi)
  • Erano centrali quanto gli uomini nelle reti sociali dell’ufficio

Particolarmente significativa è stata l’analisi della “centralità pesata”, una metrica che misura quanto una persona è vicina ai centri decisionali e agli altri dipendenti influenti. Anche in questo caso, non sono emerse differenze significative tra uomini e donne.

Lo studio suggerisce che le disparità nei tassi di promozione non sono dovute a differenze comportamentali, ma a come questi comportamenti vengono percepiti e valutati. Questo indica che gli argomenti che suggeriscono alle donne di modificare il proprio comportamento potrebbero mancare il punto centrale: la disuguaglianza di genere è il risultato di pregiudizi, non di differenze comportamentali.

I ricercatori definiscono il pregiudizio come la situazione in cui due gruppi di persone agiscono in modo identico ma vengono trattati diversamente. Nel caso specifico, i dati suggeriscono che le differenze di genere potrebbero risiedere non in come le donne agiscono, ma in come le loro azioni vengono percepite.

Le implicazioni di questa ricerca sono profonde per le politiche aziendali. Mentre i programmi volti a rafforzare le capacità di leadership delle donne hanno certamente un valore, le aziende devono concentrarsi sul problema più fondamentale – e più difficile – rappresentato dal pregiudizio. Questo significa implementare programmi di consapevolezza, ma anche sviluppare politiche che livellino esplicitamente il campo di gioco, come garantire una rosa diversificata di candidati nelle promozioni e nelle assunzioni.

Lo studio suggerisce anche che le aziende devono affrontare la disuguaglianza di genere come farebbero con qualsiasi altro problema aziendale: con dati concreti. Purtroppo molti dei programmi creati per combattere la disuguaglianza di genere si basa su prove aneddotiche o sondaggi superficiali.

Women on Board: inclusione e parità nei Consigli di Amministrazione

A livello internazionale, esistono numerose iniziative volte a promuovere la parità di genere e l’accesso delle donne a posizioni di leadership nei consigli di amministrazione. Ad esempio, l’Unione Europea ha adottato una direttiva sull’equilibrio di genere nei consigli di amministrazione delle società, mirata a garantire una rappresentanza più equa tra uomini e donne nelle posizioni decisionali. (Consiglio Eur)

In Italia è stato lanciato qualche anno fa Women on Board, un progetto innovativo che promuove la parità di genere nei Consigli di Amministrazione di aziende pubbliche e private. L’iniziativa, giunta alla terza edizione, si propone di ridurre il divario di genere e favorire l’inclusione, rispettando i principi ESG per una governance sostenibile e responsabile.

Il percorso, aperto sia a donne che a uomini, offre un programma formativo che combina incontri online e tappe territoriali in presenza. In questa edizione è previsto l’incontro a marzo 2025 presso il Parlamento Europeo a Bruxelles, un momento simbolico che sottolinea la dimensione internazionale del progetto.

L’iniziativa è promossa da Manageritalia, Federmanager, AIDP, Hub del Territorio in collaborazione con il Consiglio Nazionale dei Commercialisti e degli Esperti Contabili, l’Associazione Nazionale Forense ed il Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro. Women on Board coinvolge professionisti di diversi settori per affrontare gli ostacoli alla parità nei CdA e l’obiettivo è quello di fornire competenze e strumenti pratici per creare ambienti di lavoro più equi, coinvolgendo attivamente manager e professionisti di entrambi i generi.

Conclusione

In un panorama globale sempre più attento alla sostenibilità e all’inclusione, l’impegno per una governance più inclusiva è una risposta concreta alle esigenze del mercato e una leva strategica per le organizzazioni. Sebbene il cammino verso la piena parità sia ancora lungo, progetti come questo rappresentano un passo decisivo per un futuro più equo e sostenibile. Concludiamo con la speranza che le donne abbiano il diritto alla mediocrità, come diceva Marisa Bellisario. Ecco una sua citazione: “Per una donna esiste il problema della credibilità, bisogna dimostrare che si è brave. Alla donna manca il diritto alla mediocrità, si arriva ad occupare posti importanti solo se si è bravissime. Ma quando ci saranno anche le mediocri, come avviene per gli uomini, vorrà dire che esiste la parità. Occorre quindi dimostrare che a uguali opportunità corrispondono uguali meriti”

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