“America First” cambierà l’alimentazione negli Stati Uniti?
Quali sarebbero le conseguenze di “America First” sulle tavole e nelle tasche degli americani? Sarebbe una posizione vincente? Secondo gli esperti aumenterebbero i prezzi dei beni più comuni, a tutto svantaggio delle fasce più deboli della popolazione. L’esempio dell’avocado
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L’impatto di “America First” sulle tavole e nelle tasche degli americani
La posizione “America First” è vincente nel campo dell’agricoltura? E cosa comporterebbe l’esasperazione di certe posizioni sulle tavole, e di conseguenza, nelle tasche degli americani?
In questa sede ovviamente non si vuole prendere una posizione sulle posizioni politiche del neopresidente degli Stati Uniti; ci limiteremo a fare alcune osservazioni realistiche sulle ripercussioni che alcune scelte potrebbero avere sul settore agroalimentare.
“America First” e i consumi interni
Davvero gli Stati Uniti sono in grado di produrre da soli tutto ciò che serve al loro fabbisogno alimentare interno? Probabilmente no, come peraltro avviene un po’ in tutto il mondo.
A caldo, l’eventualità dei dazi che “America First” avrebbe imposto ad alcuni paesi, aveva creato più di una preoccupazione nella cittadinanza USA, abituata ad avere una disponibilità pressoché inesauribile di prodotti alimentari di ogni genere provenienti da ogni angolo della Terra.
Il primo timore ha riguardato il guacamole, una salsa messicana a base di avocado che sembra risalire al tempo degli Aztechi.
Viene consumato in grandi quantità sulle tavole statunitensi ed è immancabile perfino nei barbecue domenicali dove imperano i piatti della tradizione, bistecche in testa.
Il consumo di avocado
La produzione degli avocado a livello globale è più che triplicata dal 2000, e anche negli Stati Uniti il consumo è cresciuto di circa sei volte in circa vent’anni.
La produzione statunitense di avocado è in California (88%), Florida (12%) e Hawaii (meno di 1%).
Tuttavia, la produzione non ha lo stesso ritmo dei consumi: se negli anni Ottanta il prodotto interno era sufficiente, ora la dipendenza dalle importazioni ha raggiunto il 90%.
Oltre al superamento della domanda sull’offerta, si deve considerare anche l’incidenza di altri fattori:
- condizioni meteorologiche avverse (siccità, incendi, uragani)
- patologie delle piante
- carenza di manodopera (in gran parte immigrata, che le nuove politiche faranno diminuire ulteriormente)
- aumento dei costi dell’acqua o scarsa disponibilità (l’avocado ne richiede molta)
- riduzione della superficie coltivata che lascia il posto all’urbanizzazione
- maggiore costo della produzione.
Il rapporto tra economia e alimentazione
La prima osservazione fatta da chi segue il rapporto inscindibile tra economia e alimentazione è che l’entrata in vigore dei dazi imposti a Messico e Canada dal presidente Trump avrebbe fatto schizzare il prezzo degli avocado e dei pomodori.
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Per ora ha negoziato una tregua di trenta giorni, e poi? Intanto, per non perdere tempo, si è già portato avanti con il lavoro minacciando dazi praticamente a tutti: resta da vedere se entreranno effettivamente in vigore o se qualcuno riuscirà a convincerlo che non sono un’idea vantaggiosa.
Trump punta tutto sulla produzione agricola nazionale, convinto che i cittadini amerebbero mangiare esclusivamente cibi a stelle strisce e che il consumo di prodotti locali e stagionali andrebbe a vantaggio dei piccoli agricoltori.
Per carità, lo facciamo in parte anche in Italia, ma con una sfumatura diversa: non imponiamo dazi a nessuno e siamo favorevoli a mantenere i mercati aperti. Un po’ perché siamo consapevoli del valore dell’agroalimentare Made in Italy, apprezzato nel mondo, un po’ perché l’export agroalimentare ha un posto di primo piano nel nostro Pil.
USA e produzione agricola
Gli Stati Uniti producono molti cereali, oli, dolcificanti e carne, ma molto meno prodotti freschi e legumi. Nel 2022 il 69% delle verdure e il 51% della frutta fresca provenivano dal Messico, e rispettivamente il 2% e il 20% dal Canada. Sempre dal Canada gli USA importano olio di colza, cereali, carne bovina e suina
Nel 2023 il valore delle importazioni di beni agricoli ha superato quello delle esportazioni, causando un saldo commerciale negativo (dati US Department of Agriculture).
I dazi minacciati da Trump aumenterebbero rapidamente i prezzi non solo degli avocado – in fondo il guacamole è uno sfizio – ma anche di tanti altri prodotti di consumo molto più comune per tutte le fasce di reddito: arance, asparagi, broccoli, cavolfiori, cetrioli, fragole, peperoni, lamponi, mirtilli, fagiolini, pomodori e una moltitudine di prodotti trasformati e di prodotti di base che non sarebbero più a portata di tutte le tasche.
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Rivoluzionare le abitudini alimentari
In “America First” c’è la convinzione che gli Stati Uniti possano bastare a se stessi, sempre, anche in agricoltura, ma non è così. Importano prodotti che tutti consumano, ma che in molti casi non provengono dal mercato interno.
Questa paventata rivoluzione del mercato avrebbe un impatto significativo anche su una dieta sana? Probabilmente sì.
Ma il nocciolo del problema è che la rivoluzione sarebbe per le abitudini degli americani, che sanno di trovare tutto, tutto l’anno: quindi bisognerebbe cambiare il loro approccio al cibo.
L’impatto sociale di “America First”
“Make America Healthy Again” come sostiene Robert F. Kennedy? Seguire l’ideologia o la scienza?
Dieta sana non significa sostituire gli oli vegetali con lo strutto (studi scientifici hanno dimostrato la nocività del consumo eccessivo di grassi animali) né bere latte non pastorizzato (al rischio di Escherichia coli, salmonella e listeria si è aggiunta l’aviaria delle mucche da latte americane).
Cosa comporterebbe “America First” dal punto di vista sociale? La minacciata guerra commerciale lascerebbe sul campo i più deboli.
Le fasce sociali più benestanti pagherebbero di più senza vere difficoltà, mentre per gli altri il rialzo dei prezzi renderebbe inaccessibili alcuni alimenti di base, come frutta e verdura.
February 17, 2025 at 08:47AM
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Isabella Ceccarini